Carlo Tedeschi scese in Molise nel gennaio del 1861, intruppato nel contingente milanese della Guardia Nazionale. I nordici pensavano di essere venuti a cementare l'idea d'Italia, recuperando alla nazione una e indivisibile questa parte di Affrica che fu borbonica, con fanfare, parate e cene di gala; presto si chiarì che la loro era una discesa all'inferno, in un paese prostrato e non (ancora) pacificato, retto da leggi di guerra e atterrito da pogrom e esecuzioni sommarie.
«I milanesi a Venafro» - titolo che pare evocare esperienze tipo «La mia prigionia tra i cannibali» di Hans Staden, o «La vita familiare e sociale degli indiani Nambikwara» di Claude Lévi-Strauss - è il diario di quei giorni. La pagina su Isernia si apre con un abusato luogo comune; protoleghista, verrebbe da dire:
«Gli abitanti d'Isernia, di forte complessione e robustissimi, pare che abbiano sortito dalla natura le doti necessarie al lavoro faticoso; ma per loro grave danno non avendo mai saputo come la libertà costi molto sudore, e libertà che sia, non hanno mai voluto quanto dovrebbero assoggettarsi ad un giornaliero e costante lavoro. Ci conforta il pensiero che la colpa maggiore non è loro, ma del governo che ebbero, il quale, a diversità dell'Austria, che spendeva i milioni nel mantenere un'armata onde reprimere gli slanci del regno Lombardo-Veneto, trovava più conveniente senza mantenere truppa, che del resto non Io avrebbe potuto fare senza destar sospetti e malumori, mandarle invece delle granaglie e non dargli maestri: astuzia che l'Austria non potè esercitare presso i Lombardo-Veneti.»
«I milanesi a Venafro - descrizione di Carlo Tedeschi ; con aggiunta di discorso, ordini del giorno e lettere», Milano, Libreria di F. Sanvito, 1861, p. 56.
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