martedì 21 febbraio 2012
Isernia nell' «Effemeridi» di Alfonso Perrella. Parte II (XVI sec.)
14/9/1514 Con speciale Diploma, Giovanna II concede a varie distinte famiglie d'Isernia una parte dell'acqua che viene dall'antico acquedotto,costruito a tempo dei romani,per particolare uso delle loro case magnatizie.
5/3/1515 Bolla di Papa Leone X,con la quale si nomina Vescovo della Cava Pietro Sanfelice, figlio di Giacomo d'Isernia, il quale ultimo fu tenuto in molta stima dai Re Aragonesi, di cui fu Consigliere.
16/3/1517 Massimo Corvino,Vescovo d'Isernia, pronuncia il Discorso di Chiusura nell'ultima Sessione del Concilio Lateranense, in Roma.
14/3/1519 Pietro Sanfelice (d'Isernia) Vescovo di Cava, fin dal 5/3/1515 ottiene dal Papa Leone X Bolla con la quale si accoglie rinuncia fatta nella anzidetta qualità di Vescovo, rimanendogli il titolo e la metà delle entrate vita sua durante,e subentrandogli nella sede il nipote Giovan Tommaso, figlio di Antonio Sanfelice suo fratello, nato pure in Isernia. Giovan Tommaso fu prelato di grande autorità e di stima tale che fu due volte Commissario generale del sacro Concilio di Trento sotto Paolo III e Pio IV Sommi Pontefici.
Oltre vescovo di Cava fu pure Governatore di Perugia e Preside dell'Umbria sotto il detto Paolo III. Si adoperò in quei Governi con tanta prudenza e soddisfazione che la città di Perugia,dopo alcuni anni, e mentre egli viveva, a sua perpetua gloria gli eresse, avanti la Chiesa di S .Lorenzo, la seguente iscrizione:
Ioh. Thomae Sanfelicio
Episcopo Cavensi, Perusiae, Umbriaeque
Sub Paolo III Pontif. Max.
Presidi dignissimo
Binus Signorellus et Collegium XI viri
Erigendum curaverunt.
L'aggregarono, inoltre, con tutta la sua famiglia, alla loro nobiltà. Nel 1550 rinunciò al vescovado di Cava,dopo 31 anni di governo, e da Papa Giulio III ottenne che, in sua vece, vi fosse nominato Scipione Sanfelice, suo nipote, riserbandosi un'annua pensione di ducati 400. Tornato la seconda volta nel Concilio di Trento, gli avvenne, per sua sventura, quanto segue. In una delle sedute preparatorie (anno 1545) egli, innanzi a buon numero di Vescovi, ArciVescovi e Cardinali, volle sostenere che la giustificazione dell'anima è dovuta alla sola fede in Gesù Cristo, contro il parere degli altri, i quali, invece, dicevano che la fede, senza le opere buone, serve a niente. Jannettino,Vescovo di Chirone, voltosi ai Vescovi di Batiano e di Rieti, disse: «il sentimento del Vescovo di Cava non può avere origine che da ignoranza o da sfrontatezza.» Tommaso, senza intendere tali ingiuriose parole, pure dai gesti comprendendo ciò che contro di lui erasi detto, si appressò, tutto furore e sdegno, a Jannettino interrogandolo: «Che è quello che proferisti ?» E l'altro: «Io sostengo che il tuo parere non può derivare che da ignoranza o da sfrontatezza.» «Come» - replicò Tommaso - «io sfacciato ed ignorante?» «Sei tale», soggiunse il Vescovo di Chirone, «se non ritratti ciò che poc'anzi hai affermato.» In breve dalle parole si venne ai fatti; e l'adirato Tommaso, dimenticando la dignità di cui era rivestito, non che il rispetto dovuto al luogo ed alle persone, si slanciò su di Jannettino percuotendolo con pugni e calci. A gran fatica gli altri vescovi potettero separarli, e, riunendo nel medesimo giorno un'assemblea, dichiararono colpito di scomunica l'ardente Tommaso, e, perciò, fu mandato in carcere in Roma, nel Castel S.Angelo, dove, a parere del Panvino, stette molto tempo. Questo fatto lo privò di altri maggiori dignità, che non sarebbero a lui mancate per la sua grande dottrina e valore. Liberato dal carcere, fu rimesso sotto Pio IV nell'Ufficio di Commissario Generale, e l'esercitò fino ala fine del Concilio. Tornato dopo in Isernia si diede a vita riposata, ed in questa sua quiete si occupò di abbellire la Città per quanto potè, essendo egli anche assai buono architetto. Fece lastricare con mattoni le principali strade, rimuovere alcune fontane e porte collocandole in altri luoghi, e altre opere fece fare utili al Comune e al privato.
Desiderando che nella sua famiglia non mancassero mai uomini virtuosi e dotti, lasciò un legato di ducati 15 al mese a favore di ciascuno dei discendenti di suo fratello Giovanni Vincenzo, di suo nipote Giovan Battista, e di suo zio Francesco, con la condizione, però, di dover applicarsi allo studio di una qualunque scienza.
Finalmente, dopo che ebbe dimorato diversi anni in Isernia, fu chiamato dalla città di Napoli nel 1567, la quale lo mandò per suo ambasciatore a Papa Pio V. Trasferito poi al Vescovado di Venosa, ivi restò sino alla sua morte. Così il Ciarlanti. Stimo utile aggiungere che la famiglia Sanfelice venne da Marsiglia nel Regno di Napoli al tempo dei Normanni. Giacomo Sanfelice fu tenuto in molta stima dai Re Aragonesi, dai quali fu ammesso nel loro supremo Consiglio Collaterale, e nel 1490 fu nominato anche Scrivano di Razione. Giacomo, fratello del vescovo Giovan Tommaso, fu soldato di gran valore, e, dopo molti carichi militari, degnamente sostenuti, giunse ad essere Colonnello d'esercito. La famiglia Sanfelice stabilì il suo domicilio in Isernia fin dai tempi di Alfonso I, ed ora una piazza della città ne conserva il nome.
16/3/1521 Morta nel 1518 la Regina Giovanna IV, feudataria d'Isernia, la città rientrò al Regio Demanio; ma, poco dopo, l'Imperatore Carlo V la concedette a Guglielmo de Croy, Marchese d'Arescot. Avendo reclamato i cittadini per l’osservanza dei loro privilegi, ottennero che la loro patria si conservasse demaniale, e ne ebbero speciale diploma, dato da Vormazia ai 16 marzo 1521.
14/5/1536 Onorato Fascitelli, monaco cassinese, nato in Isernia nel 1502, scrive da Montecalvo una lettera al celebre letterato, suo amico, Pietro Aretino, nella quale dice che, invece di venire a Venezia (ove era stato per qualche anno) gli era necessario andare a Milano per tentare la sua sorte.
[In nota: Onorato Fascitelli (scrive il Tosto) non solo fu peritissimo nella lingua del Lazio, ma conobbe ed adoperò felicemente nei suoi versi tutte quelle grazie e quella eleganza, che distingue tra gli scrittori dell'aureo secolo di Augusto la poetica di Tibullo e di Properzio. Nacque in Isernia nel 1502 da Marco e Margherita Caracciolo. All'età di 17 anni trasse a Montecassino per rendersi monaco, ed applicò l'animo con molto studio alle latine e greche lettere. Poi venne in voce di uomo dottissimo di quelle, e fu anche molto riputato per conoscenze di sacre discipline. Fu in grande stima di papa Giulio III, che lo nominò Vescovo d'Isola in Calabria. Egli resse lodevolmente questa Chiesa per 11 anni, a capo dei quali si dimise per prepararsi alla morte, che lo colse a Roma nel 1564.
Scrisse il Fascitelli: «De Gestis Alphonsi D'Avali marchionis Vasti», opera scritta in verso eroico, che il Mari e l'Ughelli chiamano «insigne»; cinque «Elogi» in vario metro (premessi alle «Vite» scritte dal Giovio) di Francesco Arsillo, di Carlo Magno, di Farinata degli Uberti, degli uomini famosi per lettere e di quelli famosi per armi; ed altri versi che videro la luce in Padova pei tipi del Cominio, nel 1719, con le opere del Sannazzaro e dell'Altilio. Tutte le sue poesie si leggono nel libro compilato dal Ghero: «Deliciae poetarum Italorum» (Padova 1719). Dai versi pubblicati sufficientemente ci è dato argomentare con quanto magistero e quanto intendimento egli avesse usato delle latine lettere nel verso. Della qual cosa rendono bella testimonianza le lodi che di lui fecero il Crescimbeni, il Quadrio, il Ruscelli ed altri scrittori, e quell'amicizia con cui i più chiari ingegni del suo tempo si unirono a lui,come il Bembo, Della Casa, Seripando, Giovio, Pier Vittori e da altri. (...)
Il Fascitelli, non pago di aver cantato le virtù degli uomini illustri nelle armi e nelle lettere, volle anche dilettarsi col verseggiare sulla bellezza e su gli occhi di alcune donne, come pure su gli arguti motti di qualche fanciulla (rilevandosi ciò dalle seguenti composizioni: In sabellam Romanam puellam lepidissimam - De Liviae Columnae romanae oculis - Ad Aspasium malum poetam, ecc.) (...).
Padre di Onorato fu Marco, il quale come uomo di grandi meriti, godette della stima di Re Ferdinando I, che lo creò Cavaliere e Fiscale del Regio patrimonio in Puglia. Egli con le sue rendite aiutò grandemente la edificazione della Chiesa e del Convento di Santa Maria delle Grazie, che la Città di Isernia eresse per i Frati Osservanti; nella quale Chiesa fondò pure una cappella per la sua famiglia, ove venne seppellito nell'anno in cui morì, 1517.