venerdì 8 marzo 2013
Isernia «Antico Distretto» - Campo di internamento 1940/43
L'occasione per ricordarsi, per ricordare o per dirlo a chi lo ignorava, che Isernia ospitò un campo d'internamento nei tristi anni della Seconda Guerra Mondiale è venuta, va da sé, con la celebrazione della Giornata della Memoria e la mostra documentaria che ne è stata felice prosecuzione. Organizzata dall'Associazione Tikané Assiem, con documenti provenienti dall'Archivio Storico comunale di Isernia, la mostra è stata allestita presso l'Università del Molise, sede di Via Mazzini, e aperta al pubblico per la settimana successiva al 27 gennaio.
Queste brevi note dovevano servire per un pur ipotizzato catalogo della mostra, di difficile realizzazione in tempi di magra. Dispiaceva buttarle.
Dopo l’entrata in guerra, tra il 10 giugno 1940 ed il 2 maggio 1945, vennero istituiti sul territorio italiano e sui territori annessi del Regno di Jugoslavia, diversi campi di concentramento, di confino e di lavoro coatto.
Il campo di internamento di Isernia fu allestito dal Ministero dell’Interno nell’ex convento di Santa Maria delle Monache, nel centro storico della città. Comunemente noto come «Antico Distretto» – perché l’ex convento delle benedettine aveva in precedenza ospitato una caserma del Regio Esercito – ospitò fino ad un massimo di 139 internati (al 31 agosto 1943), appartenenti a diverse categorie: c’erano gli Italiani pericolosi (cioè oppositori politici; criminali comuni allontanati dalle città d’origini; allogeni slavi, cioè cittadini italiani di etnia croata o slovena; cittadini sospettati di spionaggio o di attività antinazionale); gli jugoslavi; i sudditi di Paesi nemici. Per un breve lasso di tempo vi furono internati anche una cinquantina di ebrei italiani e stranieri, provenienti dal campo di Agnone e poi dirottati, dal gennaio 1942, sul campo di Ferramonti (Tarsia, CS).
Il campo di Isernia rimase attivo dall’ottobre 1940 al 10 di settembre 1943, data del primo dei bombardamenti alleati che colpirono drammaticamente la città.
L’edificio, che attualmente ospita il Museo Archeologico di Santa Maria delle Monache (al civico 48 di Corso Marcelli), disponeva di quattro grosse camerate al pianterreno e di altrettante al primo piano. I locali erano fatiscenti, con vetri rotti alle finestre, privi di idonei servizi igienici.
Eugenio Prandi, internato a Isernia, così descrive i luoghi:
«Salimmo una scala che s’inoltrava in un ambiente buio e finalmente entrammo in uno stanzone profondo, un antico granaio, coperto dalle sole tegole, dove malgrado l’ampiezza, l’aria era infetta e quasi irrespirabile. Tutto intorno v’erano dei covili, una settantina, e sui covili degli uomini (…) che rannicchiati sotto le coperte, parlavano tra loro, russavano o se ne stavano come bestie alla cuccia a combattere il freddo. [...]
Poiché i cessi in uso sopra erano semplicemente impraticabili, entrai in questi [quelli del piano inferiore] per vedere se fossero un po’ più puliti. Vi erano due gabinetti con relative porte, una delle quali chiusa da un lucchetto, e un terzo senza porta; naturalmente non potei vedere quello chiuso , ma quello che vidi negli altri due fu sufficiente per farmi uscire a gran velocità e con lo stomaco in tumulto.»
Il campo venne diretto inizialmente dal commissario di Pubblica sicurezza Guido Renzoni, presente in città da prima che il campo aprisse. Il 14 ottobre del 1940 venne trasferito punitivamente a dirigere il campo femminile di Casacalenda in seguito alla fuga di due internati stranieri. Assunse quindi la direzione il commissario Olindo Tiberi Pasqualoni (per il solo mese di ottobre) e infine il vicequestore Pasquale Morra, di Venafro, che resse la struttura dal novembre 1940 al settembre del 1943. Il questurino molisano interpreta il suo ruolo come noiosa routine. Fino a quando non verrà richiamato dal Ministero ad essere presente anche nelle ore notturne, dirigerà il campo “in orario di ufficio”, tornando a dormire a Venafro. Quanto alla sua gestione, un anonimo la definisce assolutamente inadeguata. Così conferma Prandi:
«Era un vecchio furfante e si adoperava per rendere la vita della comunità di miseri a lui affidati il più pesante possibile. Promettendo favori, assicurando che avrebbe appoggiato delle domande di liberazione, garantendo l’impunità per ogni infrazione, aveva creato nel campo una specie di polizia interna composta di spie reclutate tra gli stessi internati.»
Bibliografia minima
Eugenio Prandi, Politici, Roma, 1946; Marialaura Lolli, Isernia «Antico Distretto» - Campo di internamento fascista 1940-1943, Bojano, 1994; Michele Colabella, Le leggi razziali del 1938 e i campi di concentramento nel Molise, Campobasso, 2004; Carlo Spartaco Capogreco, I campi del Duce. L'internamento civile nell'Italia fascista 1940-1943, Torino, 2004.
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