Chi
frequenta la biblioteca dal vivo, ma anche chi passa saltuariamente sulle
pagine di questo blog sa che la
“Michele Romano” ha sede in un’ala dell’ex monastero benedettino di Santa Maria
delle Monache. La biblioteca è qui dagli anni ’30 del XX secolo – e spero possa
rimanerci a lungo: difficile pensarla in un luogo diverso; incresciosa l’idea
di chiusure o ridimensionamenti… ma non lanciamo allarmi e rimaniamo entro il
solco di un articolo che si occupa solo di storia.
Ciò
che forse è meno noto è che la proprietà dei locali in cui la biblioteca ha
sede è del Demanio e manca un atto formale di concessione o un contratto che
dia titolo alla nostra presenza in Santa Maria. Tecnicamente, saremmo degli
occupanti sine titulo: una biblioteca
squatter.
Eversione
dell’asse ecclesiastico (1867)
La
storia, in realtà, è lunga e in più parti lacunosa – per quanto ho potuto
ricostruire dal materiale di archivio in nostro possesso (ASCI, B. 226, f.
4808) – e ha inizio all’alba della raggiunta Unità d’Italia, in quella (rara)
stagione di acceso laicismo in cui, per andare contro il Vaticano, si nazionalizzavano i beni della Chiesa. In
particolare, con il Regio Decreto 7 luglio 1866, il Regno d’Italia toglie il
riconoscimento (e, di conseguenza, la capacità patrimoniale) a tutti le
corporazioni, e le congregazioni e gli ordini religiosi; vengono così acquisiti
al Demanio tutti i beni da essi
posseduti. Si stabilisce, però, che lo Stato, su richiesta degli enti locali,
possa a sua volta devolvere i fabbricati conventuali a Comuni e Province,
purché ne venga garantita una destinazione a fini pubblici.
(Per
completezza, magari tra perentesi, va ricordato che la stagione dell’eversione
dell’asse ecclesiastico non è stata esclusiva dei Piemontesi ma ha avuto primi germogli già in età murattiana. Ed
infatti, a Isernia, già un monastero – quello dei Conventuali – era in
proprietà del Comune: Palazzo San Francesco, tolto ai frati nel 1811, divenne
sede dell’Amministrazione comunale nel 1842 – come abbiamo già detto qui).
Ma
torniamo al 1867. Con deliberazione n. 40 del 27 maggio, l’allora Consiglio
municipale di Isernia, su proposta del sindaco Achille Belfiore, richiede allo
Stato tanto la chiesa quanto l’ex convento benedettino di Santa Maria delle
Monache, sebbene quest’ultimo non sia libero, ma in uso al Ministero della
Guerra come ospedale militare e caserma per le truppe. Già in precedenza, con
deliberazione del 9 febbraio 1867, il Consiglio aveva formulato richiesta di
devoluzione per i due ex conventi cittadini dei Minori Osservanti (Santa Maria
delle Grazie, alla Fiera, distrutto poi nel 1943) e dei Cappuccini (Santa Maria
degli Angeli: poi sede dell’ Ospedale civile, per intenderci), ma la decisione
da assumersi a Firenze, nuova capitale del Regno, ancora era ignota. Così il
Consiglio, nella delibera di maggio, ribadisce quanto già richiesto a febbraio,
aggiungendovi istanza per Santa Maria delle Monache:
«Il Consiglio (...) implora dalla magnanimità del Governo che
nell’interesse civico e religioso di questi abitanti sieno concessi al
municipio i locali dei soppressi conventi dei Minori Osservanti e dei Cappuccini, insieme alle due chiese
attigue e fornite di arredi, onde possa addire gli uni e le altre a vantaggio
pubblico. (...) Fa simile rispettosa istanza per la chiesa con gli arredi del
soppresso monastero delle Benedettine, perché assai utile alla città. (...) L’uso
del fabbricato annesso alla terza chiesa (= il convento di Santa Maria
delle Monache) non sarebbe variato
dall’attuale, quante volte per i suoi fini il Governo lo sgombrasse in avvenire».
Per
effetto della richiesta, il Comune ottiene tanto Santa Maria delle Grazie
(adibito a carcere, poi distrutto dai bombardamenti del settembre 1943) quanto
santa Maria degli Angeli (il vecchio
Ospedale). Quanto al complesso di Santa Maria delle Monache, al Comune viene
devoluta la chiesa, con tutti i suoi arredi sacri e opere d’arte, consegnata in
data 7 aprile 1872 (verbale di consegna sottoscritto dal ricevitore del
Registro e del Demanio, sig. Giovambattista Cattaneo, in ASCI, B. 107, f.
1672). La consegna dell’ex monastero di Santa Maria delle Monache, invece, viene
differita a data da destinarsi perché, come detto, in uso all’Amministrazione
militare (ecco perché Santa Maria delle Monache viene anche formalmente indicata
come “Caserma Griffini” o “Antico Distretto”). Una “condizione sospensiva”
apposta alla consegna che perdurerà per oltre cinquant’anni.
Nuove
rivendicazioni del 1926/27
L’ex
convento di Santa Maria delle Monache rimane destinato a caserma fino agli anni
Venti del nuovo secolo. Nel novembre del 1926, il Sindaco di Isernia –
considerato che da poco, finalmente, i militari hanno abbandonato il quartiere
– scrive alla Direzione Generale del Fondo per il Culto richiedendo «la cessione ai sensi dell’art. 20 della
legge 27 luglio 1866, n. 3036». Il Fondo per il Culto, pur avvertendo che
la richiesta va fatta al Demanio «al
quale lo stabile è ritornato per essere stato sgomberato dal Battaglione di
Fanteria che ivi aveva stanza», risponde: «Dagli atti di questa
Amministrazione del fondo per il Culto non risulta che fu qui trasmessa copia
della deliberazione 27 maggio 1867 di cotesto Consiglio comunale (…) onde si
prega di spedirne una copia» (nota assunta al prot. del Comune con n. 4239
del 4 dicembre 1926).
Il
Comune adempie, inviando copia della delibera richiesta in data 14 dicembre. Lo
fa con con nota prot. 4587, che non
conserviamo, ma di cui si dà notizia in successiva corrispondenza del 1933.
Passa
un altro anno e mezzo. L’Italia scivola sempre più verso il nero della
dittatura e a Palazzo San Francesco si insedia non già un sindaco, ma un
podestà scelto tra gli ottimati cittadini di fascistissima fede (legge 4
febbraio 1926, n. 237). Per Isernia, poco cambia: viene confermato podestà il
sindaco, avv. Giovanni Buccigrossi.
Arriviamo
al 1927 e con delibera del Podestà n. 134 del 7 agosto 1927, Isernia torna a a
rivendicare Santa Maria delle Monache: preso atto che si è «risolta la condizione sospensiva che finora
ne ha impedito la consegna al Comune (…) per trovarsi da quasi un anno il
fabbricato chiuso essendo stata la guarnigione militare, che lo occupava,
trasferita altrove (…) e considerato che il Comune sente la necessità
impellente di affrettare la consegna stessa allo scopo di poterlo adibire a
diversi servizi pubblici, che ora mancano di sedi convenienti, quali –
soprattutto – l’asilo infantile», l’Amministrazione comunale «fa voti all’on. Ministero delle Finanze ed
all’Amministrazione del Fondo per il Culto perché si compiacciano disporre
nella rispettiva competenza la consegna al Comune di Isernia dell’ex convento
delle Benedettine».
Le
cose pare si mettano bene. La Direzione per il Culto risponde in un primo
momento affermativamente, sebbene introducendo una ulteriore condizione: con
nota prot. 1453 del 13/2/1928 si risponde che «la Direzione Generale del Fondo di Culto è disposta ad accettare la
cessione dal Demanio del fabbricato in oggetto per cederlo a sua volta a
codesto Comune ai sensi dell’art. 20 della legge 27 luglio 1866, n. 3036. Se
non potrà effettuarsi il progetto del concentramento in detto fabbricato dei
vari Uffici Finanziari che han sede in codesto Comune».
Pare
si sia vicinissimi all’obiettivo. Il prefetto di Campobasso, in una
confidenziale al podestà del 16/5/1928 (prot. 2151) si affretta «a comunicare che in data di ieri [ha]
rivolto vive premure alla locale Intendenza di Finanza perché affretti presso
il competente Ministero le necessarie determinazioni al riguardo, provvedendo
magari alla consegna provvisoria dei locali».
Pare,
ma malgrado il dichiarato progetto di
concentramento non si compia per
inidoneità dei locali, il venir meno della condizione sospensiva non viene
fatta rilevare e la cessione al Comune non si perfeziona neanche stavolta,
malgrado le vive premure di Sua Eccellenza.
Le
vie di fatto (1929)
Un
anno più tardi, tuttavia, il Comune entra nella disponibilità materiale dell’immobile.
C’è agli atti un verbale del 29 luglio 1929 (anno VII dell’era fascista) a
firma del procuratore capo dell’Ufficio del Registro di Isernia, dr. Riccardo
Taranto, e del podestà Giovanni Buccigrossi, nel quale il primo autorizza il
secondo a trattenere le chiavi dei locali dell’ex Convento «onde il Comune sia in grado di provvedere
all’alloggio durante la permanenza della Divisione militare di Napoli, che
saranno in Isernia in questi prossimi giorni per le esercitazioni estive.»
Quando
i due si rincontreranno a distanza di sei mesi per procedere alla riconsegna
delle chiavi, le cose si faranno più complicate. Nel verbale che ne dà conto, si
legge, infatti, che «si sono oggi» –
il 24 gennaio 1930 – «recati nei locali
suddetti ma di essi non ha potuto effettuarsi la consegna perché si sono
trovati in abusivo possesso i seguenti enti: Opera Nazionale Balilla, Opera
Nazionale Dopolavoro con la aderente Sezione sportiva costituita dalla “Isernia
Sportiva” (…) Alla fine del settembre 1929, l’Opera Nazionale Dopolavoro aveva
costituito regolarmente in Isernia il Comitato comunale al quale mancavano i
locali per la spedizione dell’attività culturale educativa e sportiva. A tale
epoca, venuti a conoscenza che le truppe della Divisione Militare di Napoli si
erano allontanate da Isernia lasciando i locali vuoti (…) considerando che i
predetti locali erano inutilizzati mentre ottimamente potevano rispondere alle
esigenze di detto comitato (…) il Comitato suddetto se ne mise in possesso. In
seguito l’ O.N. Balilla, avendo bisogno di una sede per la educazione fisica
degli studenti del R. Liceo Ginnasio di Isernia, presi accordi con O.N.D.
locale per la comunione della palestra di ginnastica, installò in una delle
sale dei locali stessi la propria palestra. Inoltre, avendo la “Isernia
Sportiva” aderito all’O.N.D., trasferì la propria sede nella ripetuta Caserma.»
Siamo,
quindi, al momento genetico dell’occupazione abusiva. È, però, appena il caso
di rilevare che tanto l’Opera Nazionale del Dopolavoro – istituita il 1º maggio
1925 dal regime fascista col compito d occuparsi del tempo libero dei
lavoratori – quanto l’Opera Nazionale Balilla – «per l'assistenza e per l'educazione fisica e morale della gioventù»,
come recitava il nome completo dell’istituzione – erano associazioni rette dal
Partito nazionale fascista, e – per il principio dello Stato-Partito – enti
comunque riferibili, in ultima analisi, allo Stato, non al Comune, sebbene gli
occupanti siano i comitati comunali delle predette associazioni fasciste.
«Date
a Dio quel che è di Dio» (1930/33)
Le
cose si complicano ulteriormente quando, per effetto del mutato clima
concordatario instaurato dall’ “uomo della Provvidenza”, a reclamare allo Stato
la proprietà dell’ex convento delle Benedettine è anche la Chiesa.
Una
prima richiesta viene effettuata dal vescovo di Isernia appena firmato il
Concordato del 1929. Ne troviamo notizia in una informativa che l’Ufficio del
Registro di Isernia invia al podestà il 3/1/1930, nella quale si riporta
virgolettato il contenuto di una nota (prot. 24171) del 21 dicembre 1929 pervenuta
all’Ufficio del Registro dall’Intendenza di Finanza di Campobasso. Questo il
testo, che trascriviamo integralmente: «S.E.
il Vescovo di Isernia e Venafro (…) ha chiesto la cessione della fabbrica
demaniale dell’ex monastero delle Benedettine con l’annessavi chiesa. In vista
della richiesta pure inoltrata dal Comune di cessione di detto fabbricato, la
Intendenza ha prospettato la quistione alla Direzione generale del Fondo per il
Culto, perché la medesima avesse direttamente preso accordi con il Provveditorato
generale dello Stato per stabilire con uniformità le direttive della trattazione
e sistemazione della vertenza. Ed il Provveditorato, che all’uopo è stato
interpellato, ha comunicato quanto segue: “poiché dalle informazioni
assunte è risultato che la Chiesa di Santa Maria annessa all’ex monastero delle
Benedettine di Isernia venne con verbale del 9 agosto 1905 ceduta dal Comune al
Vescovo che ne ha curato e ne cura tuttora l’ufficiatura, non vi è dubbio che
in forza dell’art. 8 della legge 27 maggio 1929, n. 848 devesi consegnare al
Vescovo di Isernia e Venafro una parte del fabbricato ex monastico per esser
adibito ad uso di rettoria. Quanto alla rimanente parte del fabbricato, si ritiene che esso non
possa ora consegnarsi al Comune ai sensi della legge 7 luglio 1866, n. 3036
perché non risulta che il Comune, dopo la soppressione dell’Ente e dopo lo
sgombero da parte dei religiosi, abbia prodotto la domanda di concessione nel
termine stabilito dal citato articolo, risulta invece che lo immobile è rimasto
sempre in amministrazione del Demanio dello Stato, il quale lo ha consegnato
all’Amministrazione della Guerra per servizi militari; e poiché con la
soppressione del distaccamento militare il fabbricato è ritornato in possesso
del Demanio, la cessione al Comune non può farsi a norma della legge 7 luglio
1866, ma secondo le disposizioni in vigore che regolano la materia degli
affitti. Si potrà solo consentire la concessione in uso per un determinato
periodo di anni e per un canone anche di favore, purché il Comune si accolli
tutte le spese di ordinaria e straordinaria amministrazione e quelle di
adattamento per adibirlo alle diverse organizzazioni del Dopolavoro , del
doposcuola e dell’Opera Nazionale Balilla”
La Direzione generale del Fondo per il Culto, condividendo pienamente le vedute
del Provveditorato generale, ha disposto che a mezzo dell’ufficio Tecnico di
Finanza sia proceduto alla ricognizione e fissazione dei locali che si
riterranno idonei e sufficienti per l’abitazione del rettore della Chiesa. All’uopo
è stato incaricato il predetto ufficio di prendere gli opportuni accordi con
Monsignor Vescovo. La S.V.(= Intendenza di Finanza di Campobasso) farà le debite comunicazioni al Vescovo e
al Comune, per la parte che a ciascuno riguarda, richiedendo al Comune
l’adesione alla proposta cui la cessione sarebbe subordinata per l’uso delle
Organizzazioni del Dopolavoro, del Doposcuola e dell’opera Nazionale Balilla.»
Va
opportunamente notato che, secondo l’Intendenza di Finanza, la cessione al
Comune non può compiersi perché la primigenia
domanda veicolata con la Delibera del maggio 1867 – prima dichiarata come mai pervenuta,
e per questo richiesta una seconda volta e acquisita – viene ritenuta tardivamente
posta. Come fosse una gara a ostacoli in cui nuove barriere vengono inserite in
corsa, a creare nuovo inciampo ad un atleta già provato.
In
ogni caso, il Comune non deve aver aderito alla proposta; tanto è vero, che a
distanza di tre anni, con esposto del 10 marzo 1933, la Chiesa di Isernia torna
a rivendicare la proprietà dell’intero complesso ex monastico. Questa volta è
il vescovo di Bojano-Campobasso, mons. Alberto Romita (che per breve periodo –
aprile 1932/marzo 1933 – regge la sede vacante
di Isernia-Venafro). Lo si apprende per
relationem da una nota del 4 aprile 1933 (prot. n. 2500) che il podestà
Buccigrossi inoltra al prefetto di Campobasso, che aveva precedentemente
inoltrato al Comune l’istanza della Curia. Il Comune di Isernia chiarisce che
il bene oggetto di richiesta «è quello
stesso che in virtù della legge 7 luglio 1866 n. 3036 fu richiesto allo Stato
in concessione dal Comune di Isernia con deliberazione in data 27 maggio 1867.
Essendo però per un lungo periodo stato adibito a caserma di Fanteria, il
materiale possesso dello stabile è stato preso dal Comune dopo che nel 1926 fu
dislocato da Isernia il distaccamento della truppa che lo occupava e destinato
a sede dei seguenti Uffici: Palestra ginnica coperta e scoperta per gli alunni
delle scuole primarie e secondarie; locali di riunione degli Avanguardisti
Balilla; Dopolavoro comunale; Regia Scuola di Avviamento Professionale.» Il
podestà Buccigrossi interviene a sindacare la legittimità della richiesta del
presule dimostrando, rispetto a Santa Maria delle Monache, il proprio animus rem sibi habendi: «non credo che l’istanza dell’ordinario
diocesano possa essere accolta perché il diritto dell’Ordine delle Benedettine
o del Vescovo a chiedere la retrocessione dell’immobile è prescritto per essere
trascorsi fin dal 7 giugno 1932 i due anni assegnati dall’art. 1» – del
Regio Decreto 1° maggio 1930, n. 695 – «per farlo valere».
«Animus
rem sibi habendi» (1934)
Che
il Comune mostri di considerare l’immobile – attenzione, l’intero immobile, non
soltanto la parte che oggi ancora detiene e che ospita la “Michele Romano” –
come cosa propria, a prescindere dalla formale qualificazione giuridica del
possesso, sarà chiaro l’anno successivo, allorché deciderà aprirvi l’Antiquarium comunale e di trasferirvi –
arriviamo, finalmente a noi – la biblioteca civica.
Agli
atti c’è una lettera del regio ispettore onorario dei monumenti e scavi –
l’avv. Ermanno d’Apollonio – del 7 aprile, con cui si segnala al podestà
l’occorrenza «di far eseguire alcuni
lavori di pittura nei locali di S. Maria delle Monache ed integrare
l’importante raccolta già ivi collocata col materiale archeologico qui appresso
descritto il quale trovasi attualmente abbandonato nelle campagne attigue alla
niostra città e quindi soggetto a possibilie continue sottrazioni e distruzioni»;
il tutto per inaugurare il “Civico Museo” in data 21 aprile 1934.
(È
appena il caso di ricordare, magari tra parentesi, che la gran parte del
materiale esposto oggi presso il Museo archeologico di Santa Maria delle
Monache, sezione di lapidaria latina, è di proprietà del Comune di Isernia, e
solo consegnato alla Soprintendenza per fini museali).
Veniamo
alla biblioteca. Sappiamo che la civica di Isernia – istituita nel 1874 – aveva
sede presso il Regio Ginnasio “O. Fascitelli”. Il trasferimento in Santa Maria
delle Monache avviene nell’autunno del 1934. Viene testimoniato,
incidentalmente, dalla delibera con cui si autorizza il pagamento al muratore
che ha eseguito i necessari lavori di edilizia in Santa Maria delle Monache. La
delibera n. 270, del 20 settembre 1934, merita di avere trascrizione integrale,
non fosse altro per essere il certificato di nascita della biblioteca “Michele
Romano”:
«L’anno millenovecentotrentaquattro XII
dell’E.F., addì venti Settembre in Isernia e nel Palazzo di Città.
Il Podestà del Comune di Isernia avv.
Giovanni Buccigrossi assistito dal Segretario sig. Serafini Bartolomeo ha preso
la seguente deliberazione:
visto che la biblioteca Comunale per
angustia di spazio nei locali dell’edificio del R.Liceo, ove trovasi,
dev’essere trasferita nei locali più ampi, ma da sistemare, siti nell’ex
convento delle Benedettine;
che la prima delle opere di sistemazione
è stata quella di un divisorio a mattoni costruito nell’amplissimo vano al
primo piano corrispondente a quello sottostante ove è allocato l’Antiquarium;
che la spesa, compreso l’intonaco alle
due facce, giusta la specifica del muratore Lombardozzi Cosmo fu Gaetano, in
data 8 corrente, convalidata dall’ingegnere comunale ammonta lire
seicentoquattordici e che essa debba far carico sul fondo delle spese
impreviste per difetto di altro stanziamento nel bilancio;
delibera
È autorizzato il pagamento ecc. ecc.»
Date a Cesare quel che è di Cesare
(1938/40)
Siamo
arrivati quasi al termine della storia. Il Comune di Isernia, con l’apertura di
museo e biblioteca, ha mostrato di considerare ormai cosa propria l’ex convento
delle Benedettine. Ciò, va detto, anche per una sostanziale inerzia del
Demanio, che tollera l’occupazione e si fa vivo a mostrare le carte bollate solo
nel 1938. Il 12 aprile, il solito Ufficio del Registro di Isernia comunica al
podestà ciò che il Ministero delle Finanze gli ha notiziato: «La Direzione generale del Fondo per il Culto
(…) ha ritenuto, in conformità all’avviso precedentemente manifestato dallo
scrivente (= Ministero delle Finanze) che
la richiesta del Comune è priva di fondamento. All’uopo ha dichiarato che, da
un attento esame della corrispondenza, è risultato che il Comune di Isernia è
decaduto da ogni diritto in quanto la
deliberazione del 27/5/1867 diretta ad ottenere il fabbricato non ebbe seguito
non avendo il Comune stesso, a suo tempo, richiesto al Fondo per il Culto la
consegna dello stabile, né comunque comunicato la citata deliberazione. Ciò stante questo Ministero deve dichiarare
che il fabbricato di cui trattasi è di proprietà del Demanio e che la
occupazione effettuata dal Comune costituisce un atto arbitrario» (nota assunta
al prot. del Comune di Isernia al n. 2350 in data 13/4/1938).
L’affermazione
è di quelle che non lasciano margini di trattativa. Non avete fatto per tempo
la richiesta, anzi l’avete fatta ma non ce l’avete spedita. Se anche l’avete
spedita, l’avete fatto tardi. Pare di sentire il lupo di Fedro per cui ogni pretesto
è buono per mangiarsi l’agnello.
Il
Comune deve rilasciare l’immobile,
andarsene con tutti i suoi libri, bassorilievi, labari e gagliardetti. Ma siamo
comunque in Italia, è i termini non sono mai perentori. Vogliamo forse
sloggiare i dopolavoristi? Gli avanguardisti? I ginnici ginnasiali? Giammai. Il
Comune mostra acquiescenza alle ragioni del Demanio e chiede però di poter
rimanere riconoscendosi alieni iuris.
Una ennesima comunicazione dell’Ufficio del Registro di Isernia prot. 2770 del
27/3/1940) notifica al podestà che «il
Ministero, in considerazione della natura degli Enti che sono attualmente
allocati nel fabbricato in oggetto ha autorizzato a regolarizzare l’occupazione
del fabbricato stesso da parte di codesto Comune mediante la stipula di
apposito atto di concessione in uso ventinovennale dietro corresponsione del
canone annuo di L. 300 (trecento) a solo titolo di riconoscimento della
proprietà demaniale. Pertanto, (…) codesto ufficio (= ufficio del Registro
di Isernia) stipulerà subito il relativo
atto con decorrenza 18 marzo 1927 data in cui l’immobile venne dismesso dal
Ministero della Guerra al Demanio ed abusivamente occupato dal Comune.»
Pensate
che si sia stipulato subito come
vuole il Ministero? Macché.
Le invasioni barbariche (1940/oggi)
Il
10 giugno l’Italia entra in guerra. C’è da sistemare un sacco di rompiscatole,
antifascisti, ebrei, allogeni slavi, zingari, apolidi. Dall’ottobre 1940, in
Santa Maria delle Monache, viene istituito un campo di internamento per
detenuti politici (ne abbiamo parlato qui). Beffa delle beffe: il Ministero
degli Interni viene a occupare i locali prima occupati dal Comune (sono le
camerate che ospitavano l’O.N.D. e gli Avanguardisti, lato Corso Marcelli). Che
vuoi stipulare con il Ministero delle Finanze se un altro ministero viene a
prendersi i locali?
È così
che una nota del prefetto di Campobasso del 15/4/1941 (prot. 3470 del
17/4/1941) si sforza di non far rilevare la contraddizione invitando
nuovamente il Comune a prendersi le
proprie responsabilità. «L’Intendenza di
Finanza mi comunica che alle reiterate sollecitazioni per la stipula dell’atto
di concessione in uso ventinovennale dello stabile demaniale in oggetto avete risposto
di non poter prendere in merito alcuna concreta decisione dato che il
fabbricato è attualmente adibito a campo di concentramento degli internati
politici. Poiché l’Intendenza fa nuove insistenze a riguardo e fa presente la
necessità di sistemare la contestazione, in quanto questa si riferisce al
periodo antecedente alla circostanza odierna che il fabbricato sarebbe adibito
a campo di concentramento per internati politici e di conseguenza tale
circostanza non può influire sul rifiuto ad addivenire alla sistemazione per l’abusiva
occupazione, si prega voler addivenire alla determinazione nei sensi voluti dal
Ministero delle Finanze.»
Il
fascicolo termina qui, e anche la storia che fino a qui abbiamo raccontato.
Le
cose si misero male per l’Italia e per Isernia e non ci fu più tempo per le
stipulazioni fittizie a salvare le forme, le prefettizie di sollecito e altre
burocratiche menate.
La
guerra arrivò a casa. Il nemico, poi amico, bussò alle porte, energicamente,
scuotendo case e palazzi. I nuovi nemici della Wehrmacht pensarono bene di far
saltare la Chiesa di Santa Maria delle Monache per rallentare l’8a Armata
in risalita verso nord. L’ex convento continuò ad ospitare gli internati
politici fino al settembre del ’43; poi i detenuti comuni, i carcerati di Santa
Maria delle Grazie andato distrutto il 10 di settembre. Arrivarono poi gli
sfollati, i senza tetto e ci fu posto anche per loro.
In
mezzo al caos, in questi anni drammatici, la biblioteca c’era, rifugio di
civiltà contro le miserie morali e materiali della guerra.
Negli
anni della ricostruzione, dell’entusiasmo, del boom economico, della crisi, del
riflusso, di internet la biblioteca c’è sempre stata.
La
proprietà dei locali che la ospitano non si è mai chiarita, e ancora adesso
siamo qui da occupanti abusivi.
Che
ci provino a mandarci l’ufficiale giudiziario: ci troverà incatenati alla copia
delle Memorie historiche del Sannio.
Nessun commento:
Posta un commento