giovedì 2 aprile 2015

Presentazione per il volume «I Giovani Isernini alla Grande Guerra»

 I Giovani Isernini alla Grande Guerra (da www.centoannigrandeguerra.it)

I Giovani Isernini alla Grande Guerra
a cura della prof.ssa Marialuisa Evangelista
Istituto Comp.vo Statale Giovanni XXIII - Isernia
con il patrocinio del Comune di Isernia
finito di stampare il mese di marzo 2015 presso Sigma Studio - Isernia 
progetto grafico: Anna Sanità
 

Ogni volta che – come in questa occasione – si aprono buste e fascicoli dell’Archivio storico comunale, ospitato presso la Biblioteca civica “Michele Romano”, si rinvengono tesori, quasi perle nel loro guscio  – almeno così appaiono a chi ha, come me, questa una fascinazione per la storia minuta, quella rappresentata da telegrammi, preventivi, delibere, corrispondenza vergata in calligrafia su veline che ostinatamente si oppongono alla consunzione. Si nutra o meno questa sensibilità, è certo che i documenti che in questo libro vengono pubblicati hanno un’indubbia capacità evocativa, un valore che supera le personali interpretazioni, restituendo vivida l’immagine di quei soldati ragazzini che cento anni fa – dopo il famigerato 24 maggio 1915 – partirono in grigioverde, qualcuno cantando di città da liberare, imbevuto di retorica irredentista (“i giovani studenti che hanno studiato e la guerra voluto” della canzone); qualcun altro magari strappato controvoglia alla sola terra irredenta conosciuta, quel podere mai riscattato, da coltivare per il padrone. Partirono per conoscere l’aspra vita di trincea: fango e freddo, privazioni e brutalità, e non sempre e solo da parte austriaca. La guerra, alla fine, venne vinta (e come scrive Brecht «Fra i vinti la povera gente|faceva la fame. Fra i vincitori|faceva la fame la povera gente|egualmente.»). Molti, fra quanti partirono, tornarono in una bara, che è come non tornare. Qualcuno con una medaglia, come fu per gli ex alumni del R. Ginnasio Fascitelli cui la scuola dedicò, nel 1920, il libro celebrativo qui citato.
Le celebrazioni hanno un senso se, spento l’incenso, rimane la consapevolezza. Occorre fermarsi e pensare, anche solo per quel minuto di raccoglimento divenuto consuetudine nelle aule e negli stadi, che dietro il nome che intitola una strada cittadina – quei Manlio e Roberto Majorino, Mario Farinacci, Michele Fortini, Gugliemo Senerchia, Teodoro La Cava – e ci ricorda l’indirizzo di un barbiere o assicuratore, c’è stato un ragazzo di diciannove, venti anni, partito magari volontario, strappando – essendo allora non ancora maggiorenne – il permesso ad un padre legale rappresentante; va considerato che, per loro, la vita si è bruscamente interrotta al Monte Calvario, sul Carso, al Monte Grappa, risucchiando in un attimo nel buco nero della morte future famiglie, sogni, realizzazioni.  
Si sa: ci sono generazioni più sfortunate di altre, e anche nella sfortuna c’è una triste graduatoria. Essere nati nel 1901, piuttosto che nel 1899 può fare una differenza abissale. Chi, come noi, ha avuto la fortuna di vivere nella pace, nel clima di certezze instaurato da quel «l’Italia ripudia la guerra», voluto fortemente da chi era uscito da un altro e più tragico conflitto, questa consapevolezza deve averla, ha il dovere di averla. 

Gabriele Venditti

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