«Quanto cambia il volto di
una città nel corso dei secoli? Consideriamo Isernia, devastata – fermandoci
all’ultimo millennio – da almeno quattro terribili terremoti e provata dal
fuoco di eserciti antichi e moderni, i Francesi del 1799, i Piemontesi del 1860,
gli Alleati del 1943; per non parlare di nemici meno eclatanti ma altrettanto
perniciosi, nel loro continuo, silenzioso operare da tarlo: il cemento
selvaggio, l’incuria, l’ignoranza di chi non distingue tra antico e vecchio.
Continue trasformazioni, che non sempre – o quasi mai – procedono lungo la
linea che porta verso la bellezza, l’armonia.»
L’immodesta
autocitazione che precede – tratta dalla presentazione che ho scritto per il
catalogo della mostra «ISERNIA. L’ALTRA MEMORIA - Dall’archivio privato della famiglia De
Leonardis alla Biblioteca comunale “Michele Romano”»
– mi pare adatta a introdurre il tema, specie nella parte in cui rimarca che le
grandi trasformazioni che intervengono a modificare il volto della città sono spesso
il risultato di microinterventi – il rifacimento di una pavimentazione,
l’apertura di un varco – più che di epocali catastrofi.
L'obelisco in una fotografia di fine '800 |
La
descrizione di De Leonardis
Che io sappia, l’obelisco di Piazza Mercato – o Largo San Pietro, come allora altrimenti si
chiamava, mutuando il nome dall’intitolazione della Cattedrale – è
rappresentato in due sole immagini: una stampa di metà Ottocento, più volte riquadrata
e modificata, e una sgranata fotografia dell’ultimo decennio del secolo.
Nella stampa, (meno nella fotografia) la piazza viene rappresentata,
al centro, con fontana e obelisco. Dal punto di osservazione scelto – spalle a via
Marcelli e faccia alle Mainarde – sembrerebbe quasi che fontana e obelisco,
schiacciati nella prospettiva, costituiscano un tutt’uno e che l’obelisco si
erga dal centro della vasca. In realtà, l’obelisco era distante dalla fonte
almeno una decina di metri e ne nascondeva il castelletto di carico dell’acqua,
necessario in quanto la fontana prevedeva non soltanto, a livello di terra,
quattro getti tratti dalla bocca di altrettanti leoni in pietra, ma anche una
vasca centrale con, alla sommità, uno zampillo.
Posso affermarlo con sufficiente sicurezza perché la
descrizione puntuale di come fossero fontana e obelisco nel momento in cui
vennero rimossi è data in un autografo del notaio Cesare De Leonardis
(contenuto nell’appendice dell’ormai noto libro del Garrucci) che conviene
riportare qui integralmente:
«Da l 15 al 31 marzo 1896 furono abbattute
per deliberazione del Municipio di Isernia: 1. La fontana in pietra di forma
circolare sita nel Largo S. Pietro e propriamente innanzi al Cortile del
Palazzo Vescovile, le cui acque si versavano a getto per la bocca di quattro
leoni di pietra scolpiti, giacenti e situati a croce, nel cui centro si
innalzava una vasca circolare, anche in pietra, con un rilievo in mezzo a guisa
di pigna da cui scaturiva dell'acqua a zampilli.2. Il Castelletto a guisa di piramide a
pochi metri discosto da detta fontana da cui derivavano le acque della fontana
istessa. Esso Castelletto era di mattoni a piatto, lato da terra circa metri
dieci, con base in pietra viva alta circa metri tre ornata di cornice della
stessa pietra ed all'apice una palla sostenuta da una pietra di forma quadrata
ai cui lati leggevasi: 1° lato A.R.C. 1832; 2° lato AESERNIA; 3° lato
FERDINANDO II; 4° lato D.D.D.La stessa palla sosteneva all'apice un
giglio, del pari scolpito in pietra, appartenente allo stemma dei sovrani
Borboni. Nella facciata di essa piramide, verso la Piazza di S. Pietro, erano
incastrate, alla base, una leggenda, o dedica, all'ex sovrano Borbone, scolpita
in marmo, ed alla metà dell'altezza di essa piramide lo stemma di Isernia come
qui riprodotto. Tale costruzione rimontava ad oltre
mezzo secolo e non è fuori proposito far osservare che tanto la leggenda che il
giglio di sopra descritti furono abbattuti e distrutti nelle vicende della
rivoluzione del 1860 contro l'abolita Dinastia borbonica. »
Cesare De Leonardis, pagina autografa (1890 ca.) |
Cesare De Leonardis (1840-1901), appassionato di storia e
archeologia, è autore di schizzi e disegni, molti a colori, che restituiscono vivida l’immagine di luoghi,
monumenti e reperti archeologici allora visibili in città o rinvenuti nelle sue
campagne. Oltre alla descrizione sopra riportata, in appendice al Garrucci c’è
un suo disegno in controprospettiva, che ribalta il punto di vista sulla piazza
e colloca idealmente l’osservatore su un pallone aerostatico fermo sul vallone
della Precia, che guardi a ovest
verso la Cattedrale. Qui l’obelisco si erge, coprendo la fontana, la Cattedrale
e il resto, monopolizzando la scena. Posto sulla sua sommità, un giglio (segno
della dinastia dei Borbone, incredibilmente rimasto anche oltre il settembre 1860),
non una croce, come si direbbe a guardare l’immagine in stampa e fotografia.
Cesare De Leonardis, disegno di Largo del Mercato (1890 ca.) |
1832,
Dono dedit dedicavit
Stando alla descrizione del notaio, il giglio sovrasta una
sfera posto a sua volta su un cubo di pietra. Sui suoi quattro lati, si legge l’intitolazione
a re Bomba. Il 1832 corrisponde al secondo
anno di regno di Ferdinando II di Borbone (1830 – 1859). Nel settembre di
quell’anno vi è notizia di una visita compiuta dal sovrano negli Abbruzzi; non si ha certezza del passaggio per Isernia,
tuttavia fonti d’archivio riportate da Enza Zullo nel suo articolo dal titolo Le trasformazioni
urbanistiche di Isernia nella prima metà dell'Ottocento (Almanacco del
Molise, 2001) riferiscono che l’obelisco fu eretto «per eternare la memoria del felicissimo passaggio per questa Città di
Sua Maestà Ferdinando Secondo Nostro Signore». L’acronimo D.D.D. sulla
quarta faccia del cubo sta appunto per Dono
dedit dedicavit, cioè diede e dedicò
come dono.
«Nelle intenzioni, i lavori alla fontana e al
suo obelisco sarebbero dovuti terminare prima dell’arrivo ad Isernia del re, ma
in realtà il sovrano non vide né l’una e né l’altra: l’obelisco fu terminato
alla fine del 1832, mentre la fontana vera e propria fu terminata solo nel 1847
(Zullo, op. cit.)»
La descrizione del manufatto data da Cesare De Leonardis
differisce alquanto dai disegni progettuali che – conservati all’Archivio di
Stato di Campobasso, fondo Intendenza di Molise, b. 551, f. 27 – sono stati
pubblicati sempre da Enza Zullo a corredo dell’articolo citato. Mancherebbe
infatti l’area perimetrale, di circa 4,30 metri per lato, che, nelle intenzioni
del progettista, avrebbe dovuto contornare il basamento in pietra
dell’obelisco, avendo termine in quattro cippi cui si ancoravano cancellate in
ferro. Nei disegni di De Leonardis (e, vedremo, nel progetto della piazza
redatto dall’ingegner Carelli, del 1888) il basamento si presentava nudo, senza
ulteriori elementi architettonici.
1896,
Tabula rasa
Obelisco e fontana occuparono il centro della piazza per
tutta la seconda metà del secolo XIX, e vennero rimosse – probabilmente per una
cattiva valutazione degli amministratori dell’epoca – allorché si rese necessaria
una ridefinizione dell’area e la realizzazione del raccordo della piazza con la
nuova strada provinciale sottostante
(via Occidentale), attraverso la realizzazione della rampa nel sito in cui
insiste ancora oggi. Il progetto dei lavori (conservato nell’Archivio storico
del Comune di Isernia) porta la data del 1888 e la firma dell’ingegnere
Giovanni Carelli. Nella relazione allegata si legge:
«Scopo del presente progetto è quello di
costruire una rampa rotabile di accesso dalla nuova strada provinciale di 1a
serie n. 14 alla piazza del Duomo, che è pure la principale del paese; nonché
sistemare la detta piazza, ampliandola con un piazzale sporgente sulla strada
suddetta e regolarizzando pure l’antica via mulattiera da una parte e,
dall’altra, aggiungendo una breve rampa scorciatoia per pedoni e bestie da
soma. Si demolirebbe pure il castello di carico dell’acqua a forma di obelisco
e la fontana che ingombrano la detta piazza e da venire altrove costruite
all’attuazione della nuova conduttura, in modo da rendere libero l’accesso e la
circolazione alle vetture su di essa»
Obelisco e fontana ingombravano la piazza e dovevano essere
demoliti. Facile l’ironia: quante migliaia di carrozze, barocci e landò dovevano
transitare ogni giorno davanti alla Cattedrale, fermandosi ai semafori a
candela e ingolfando il centro città? Così tante da non consentire la
permanenza dei due manufatti? A vedere il progetto, e il minimo ingombro della
sagoma di obelisco e fontana (il quadrato e il cerchio centralmente allineati,
quasi ideali spartitraffico) appare davvero difficile sostenere che essi ingombravano la piazza.
Erano anni in cui si preferiva la tabula rasa all’ horror vacui
e si faceva il vuoto anche sotto l’Arco di San Pietro, rimuovendo i due
sarcofagi romani che erano lì da sempre (1892).
Progetto dell'ing. Giovanni Carelli, 1888 (ASCI) |
Il provvisorio definitivo
Una deliberazione del 1897, la n. 40, adottata dalla Giunta
municipale in data venerdì 11 giugno (ASCI b. 100, f. 1371), e avente ad
oggetto “Fontanina alla Piazza Andrea
d’Isernia”, ci racconta ciò che avvenne una volta evirata la città del suo obelisco. Tolti i dieci metri di
svettante, priapica potenza, ci si accontentò – provvisoriamente – di un
fontanino a due getti.
«…dovendo si sia pure in via
provvisoria impiantare una fontanina nella piazza stessa, la quale non può
continuare a rimanerne sprovvista pei bisogni dell’intero rione, ed anche per
la gente che accorre nei mercati che ivi si tengono … delibera lo impianto
provvisorio di una fontanina metallica a due getti alla parte esterna della
piazza suddetta verso la rampa omonima … rimane incaricato il fontaniere Di
Nezza di acquistare a Napoli la fontanina da collocarsi e di collocarla nel
punto che sarà designato dall’assessore signor Viti.»
Ma anche allora, come per l’attualità, il provvisorio tese
al definitivo e si rimase in situazione di cantiere, fino alla sistemazione
definitiva della Piazza intervenuta nel 1906-1907.
Non sappiamo con certezza se il fontaniere comunale riuscì a
vedere Napoli per l’acquisto del fontanino. Da altra fonte documentale,
sembrerebbe di no. Per approfondire, dobbiamo parlare di leoni.
I Quattro Leoni nel chiostro di Palazzo San Francesco (1910 ca.) |
Hic sunt leones
Una fotografia dei primi anni del secolo (il XX, occorre
specificarlo?) vede i quattro leoni della fontana ricollocati, sempre disposti
a croce, nel chiostro di Palazzo San Francesco. Sembrerebbe, dunque, che tolti da
Piazza Mercato abbiano avuto subito più asciutta collocazione nella sede del
Municipio.
Ma un documento d’archivio (ASCI b. 100, f. 1371) ci
illumina casualmente di un’ulteriore, intermedia collocazione per due di loro:
prima di essere ricomposti in San Francesco, una coppia di leoni rimase in
piazza Andrea d’Isernia, posti ai lati della proprietà Belfiore, fino alla
definitiva sistemazione della piazza del 1906-1907. La notizia si trova in una
nota a data 1912 relativa ad una vertenza insorta per un diritto di presa
d’acqua tra la signora Carolina Belfiore, maritata Fiore Properzi, estensore
della lettera, e il Comune di Isernia. Quando ancora c’era l’antica fontana, i
Belfiore – che avevano palazzo sulla piazza e proprietà nel declivio verso il
fiume – avevano acquistato, dal Comune, con regolare contratto stipulato in
data 17 dicembre 1835, il diritto di utilizzare l’acqua di rifiuto della fontana pubblica per alimentare i giardini
di loro proprietà. Prima della definitiva sistemazione dell’area (lavori
compiuti nel 1906-1907)
«…
in linea provvisoria furono piazzati due
dei Leoni che stavano alla demolita fontana agli angoli dei due fabbricati di
proprietà Belfiore, nella detta piazza, che erogavano i 20 millimetri d’acqua
assegnati e che andavano ad irrigare i giardini della reclamante. Il ricasco di
una delle due fontanine, essendo mal costruita la fognatura, inondava la
sottostante cantina e il
sottoscritto, ad evitare tale danno, fece ammaccare il tubo di piombo da quel
lato, rimanendo così il solo Leone dall’altro lato, che dava la metà dell’acqua
…»
Nel 1912, la coppia di leoni, a Piazza Mercato non c’era già
più.
In tempi più recenti furono tolti pure dal chiostro di
Palazzo San Francesco e, a coppie, separati: due, dove ancora si trovano oggi,
all’ingresso sud della Villa comunale, a recuperare il loro antico ruolo; altri
due vennero posti a Santa Maria delle
Monache, in biblioteca, a guardia della scala in pietra che fino al 1980
costituiva l’accesso alla Biblioteca civica “Michele Romano”. Dopo la ristrutturazione
degli anni ‘80-’90 – la biblioteca riaprì nel 1994, con diverso ingresso e
nuova scala – la coppia di leoni finì, mogia, nel magazzino dei manufatti
lapidei, in Soprintendenza, dove, spero, ancora si trovano.
[Interrogando il web, scopro che a Vallo della Lucania (SA) c'è una fontana gemella, non a caso chiamata Fontana dei Quattro Leoni, realizzata nel 1849. La fontana di Vallo è praticamente identica: quattro sfingi poste a croce, vasca, pigna e zampillo. ]
[Interrogando il web, scopro che a Vallo della Lucania (SA) c'è una fontana gemella, non a caso chiamata Fontana dei Quattro Leoni, realizzata nel 1849. La fontana di Vallo è praticamente identica: quattro sfingi poste a croce, vasca, pigna e zampillo. ]