Pastori
di greggi
Il vescovo, inteso qui e nel seguito nei suoi connotati
puramente terreni di capo e guida di una chiesa locale, è, per
Isernia come per il resto del mondo cristiano, l’autorità che, conservandosi a
tutt’oggi, ha più antica e radicata presenza. Se comes longobardi e franchi, giustizieri svevi, magistrati vari,
governatori e sottointendenti, sindaci e decurioni hanno calpestato le vie
fangose prima e lastricate poi della città che nel corso dei secoli è stata
Ysernia, Sergna, Isernia, per un tempo magari lungo decenni o secoli, ognuno di
loro è qualche centimetro rispetto al metro buono rappresentato dal vescovo,
che – piaccia o meno – ha calcato, magari in scarpino vellutato, quelle stesse vie
se non per quindici secoli, a voler considerare il mitico San Benedetto, venerato come primo vescovo di Isernia ma ignoto
alle fonti storiche, certamente per più di mille e duecento anni, a considerare
la cronotassi sedimentata, che
dovrebbe partire da un Bonifacius
Aeserniensis episcopus che florebat
nel VIII sec.
Tracciare dunque una storia dei
vescovi isernini, dare qui le loro biografie – senza pretesa di rivelare aliquid novi, ma, se riesce, dare in
unico (con)testo notizie altrove sparse – può restituire, indirettamente, una
storia della città in quello stesso lasso di tempo.
Giovan Vincenzo Ciarlanti, Serie di Vescovi della Città di Isernia,
manoscritto inedito (Archivio d'Apollonio)
|
Le
fonti bibliografiche
Anticipo qui una bibliografia
minima, utile a meglio comprendere di ciò che segue: per parlare di vescovi
isernini, la fonte più autorevole rimane l’abate Ferdinando Ughelli (1595-1570)
che con la sua mastodontica Italia sacra
(pubblicata in IX voll. dal 1644-1662) ha tracciato, per horror vacui, la
storia di tutte le chiese locali italiane attraverso, per ognuna, la serie dei
vescovi; Isernia è nel volume VI, tra le chiese della Campania, dell'Abruzzo e
dell'Irpinia. Il suo omologo francese è Charles Le Cointe, autore degli Annales ecclesiastici Francorum, Parigi,
8 voIl, 1665-1683. A Ughelli si ispirò, nell’Ottocento, Giuseppe Cappelletti,
autore di Le chiese d'Italia dalla loro origine
sino ai nostri giorni, Venezia, 21 voll., 1844-1870. Altra
importanti opera enciclopedica è quella di Pius Bonifacius Gams (Series episcoporum Ecclesiae catholicae
quotquot innotuerunt a beato Petro apostolo, Ratisbona, 1873). Per la
diocesi di Isernia, fonti specifiche sono costituite dalle Constitutiones synodales aesernienses (editae ab illustriss. ... Michele de Bononia Aeserniae episcopo
ecc.) edite a Napoli dal vescovo isernino Michele da Bologna, nel 1693. La
cronotassi di Michele da Bologna è seguita da Stefano Jadopi per la redazione
della sua monografia su Isernia edita partim
per Il Regno delle Due Sicilie
descritto e illustrato, nel 1858. Fonte senza dubbio più interessante è
il manoscritto di Giovan Vincenzo Ciarlanti, Serie di Vescovi della Città di Isernia, che costituisce il libro IV
della sua opera, ancora inedita, Storia
di Isernia (si conserva nell’Archivio d’Apollonio presso la Biblioteca
comunale “Michele Romano). Da tutte queste fonti, Ermanno d’Apollonio trasse un
proprio catalogo riassuntivo che, con data 1936, è conservato nell’omonimo
archivio come dattiloscritto. C’è, poi, da segnalare il Catalogo dei vescovi della Diocesi di Isernia redatto a cura del
Capitolo della Cattedrale, che è inserito nell’opera collettanea La cattedrale di Isernia nella storia e
nell'arte, Napoli, 1968.
Catalogus Episcoporum Aeserniae, in Michele Da Bologna, Constitutiones Synodales Aesernienses, 1693 |
Le
origini (fino all’anno Mille)
«… la storia di questa chiesa fu nei primi dieci secoli del cristianesimo
cosi ravvolta nelle tenebre, da non poterne aver traccia positiva o monumento
di certezza, su cui appoggiarne la narrazione. (Cappelletti)»
Se parlo di cronotassi sedimentata è perché il setaccio della
storiografia ha, qua e là, trattenuto qualcosa: i cataloghi più completi, va da
sé, sono anche quelli storicamente meno validi. Ermanno d’Apollonio parte da un
San Poltino, che, nel I sec. sarebbe stato lasciato nell’Aesernia imperiale da San Pietro in persona, allorché si mosse da
Antiochia per Roma: Papia, vescovo greco di Hierapoli, citato da Eusebio, conferma
che Pietro predicò a Roma all'inizio del regno di Claudio (dal 42, dunque); per
Poltino, evangelizzatore a Isernia, d’Apollonio
dà apoditticamente l’anno 44.
Ampia lacuna fino al V secolo.
Compare un Lorenzo (402), indicato
da Ferdinando Ughelli come primo presule
della diocesi di Isernia: c’è un’epistola di papa Innocenzo I (papa tra il 410
e il 417) inviata a Lorenzo episcopus
se[r]niensis, con cui lo si invita ad attivarsi per colpire, anche nella
sua diocesi, l’eresia del vescovo Fotino. Ora, il Fotino eretico è Fotino (300-376)
vescovo di Sirmio (oggi Sremska Mitrovica, in Serbia), e fotianiano, al tempo di Innocenzo I (e di Sant’Agostino), era
chiamato, e bollato di eresia, chiunque credeva che Gesù Cristo fosse stato un
semplice uomo. Il Lorenzo dell’epistola pontifica è allora più certamente un episcopus seniensis, cioè di Segna (Senj,
in Croazia), prossimo all’eresia del vescovo di Sirmio; più difficile pensare
che la predicazione eretica della Trinità avvenisse da noi, al di qua della
linea del Volturno. L’equivoco si è alimentato anche per l’esistenza di un Fotino
vescovo di Benevento (che però non era affatto eterodosso essendo dell’anno 30,
non del IV sec.).
Dal catalogo dei vescovi di
Isernia va dunque senz’altro espunto questo vescovo Lorenzo. Allo stesso modo, per
effetto di malinterpretazioni simili, non può seguirsi l’Ughelli quando
annovera Eutodio (465), Mario (499) e Innocenzo (501), che sono, invece, vescovi [T]ifernensis (cioè di Tifernum, Città di Castello), e pure
un Sebastiano (595), vescovo
di Risano, in Montenegro.
Siamo, dunque,
ancora alla ricerca del primo presule. Dopo gli interpolati Poltino e
Lorenzo, cronotassi diverse danno due nomi, Benedetto e Vindonio, anteponendo
qualcuna il primo al secondo, il secondo al primo qualcun’altra. La verità è
che i due vescovi, entrambi santi per la Chiesa, pur nella nebbia dell’indeterminatezza
storica, si trovarono a vivere negli stessi anni (420-450).
Ferdinando Ughelli, Italia Sacra, 1659, Frontespizio del Libro VI |
Benedetto è molto presente nella religiosità popolare isernina, che ne ha avuto modo, nel corso dei secoli, di venerarne come reliquia i resti presenti in Cattedrale (attenti, però, a non confonderlo con Benedetto da Isernia giurista del XII secolo, antiquus doctor dell’Università napoletana, presente anche nell’odonomastica isernina, battezzando col suo nome il vicolo cieco primo a sinistra, salendo da Santa Maria delle Monache). Notizia di un Benedetto vescovo, ma senza alcun riferimento a Isernia, si dà nell’agiografia di San Paolino di Nola data da Michele Monaco nel Sanctuarium Capuanum (1630): al capezzale del nolano morente giungono, nel 431, l’amico Benedetto, vescovo, insieme a San Simmaco.
Per Giovan Vincenzo
Ciarlanti – che ne scrive poco dopo in un suo manoscritto inedito sui vescovi
isernini (Archivio d’Apollonio) – quel Benedetto è il nostro Benedetto:
dopo la visita a San Paolino, Benedetto «tornò poscia alla sua cara gregge,
come vigilantissimo pastore, procurò prima di fare risarcire le consumate mura
e le abitazioni della sua città, già in molte parti buttate a terra, e disfatte
dal barbaro furore di cotesti Vandali, nel far raddrizzare le chiese, e di
riunire e far ritrovare i smarriti cittadini che per salvar la vita erano ne’
boschi ed in altri segreti luoghi fuggiti.» Da una antica pergamena da lui
vista in San Maria delle Monache (poi perduta, come tutto il resto del ricco
archivio del monastero), dice che Benedetto vescovo fece spalla con «un
conte (sic) di nobilissima progenie per nome Landenolfo» che «eresse
una buona chiesa in onore della Santissima Vergine» (la stessa Santa Maria
delle Monache). Questo comes Landenolfo – evidente è l’onomastica
longobarda – appare malcollocato: l’istituzione del contado, a Isernia, è
senz’altro successiva, e segue l’arrivo, appunto, dei Longobardi: siamo ad
almeno il VII secolo, non certo il V, che, all’epoca, vedeva ancora formalmente
in vita le magistrature dell’Impero romano d’Occidente.
Ma torniamo al santo
vescovo. Ciarlanti ne dà una data di morte: dice infatti che «volò al cielo nell’anno 445 e fu
sepolto dentro l’altare maggiore della sua Cattedrale in un sepolcro ben
lavorato a mosaico, il quale fu ritrovato
da Carlo Setaro vescovo della stessa città l’anno 1480 (…)». Segue
la narrazione della potestà jettatoria riconosciuta al santo vescovo: la
leggenda vuole che ogni qualvolta si tenti di traslare altrove la cassetta con
i resti, sciagure si abbattano sui profanatori. Il primo a subire fu proprio il
vescovo Setaro allorché ne ordinò la rimozione; qui Ciarlanti riporta quanto
scritto da Filippo Ferrario nel suo Catalogo de’ Santi d’Italia (1613) («…Ecclesiam
illam quasi repentino, vehementique terremotu concussam contremuisse, cum Episcopus
Eserninus circa S. Benedicti corpus effodi iussiset»): tolta la cassetta,
l’intera cattedrale cominciò a scuotersi e vibrare, fin quando non si rimisero
i santi resti dove erano, e il terremoto cessò all’istante, «senza danno di
persona alcuna». Un altro vescovo isernino, Antonio Genovese, nel 1622 «fe’
cavare sotto il tabellino di esso e trovatavi una cassetta piena di reliquie la
fe’ portare al suo Palazzo in contiguo, ove, appena giunta, esso Vescovo
gravemente s’infermò con pericolo di morte, ed essendo in questa infermità
visitato da un sacerdote gli narrò che la sua indisposizione, e che principio
ebbe subito che portata fu ivi la cassetta. Il sacerdote li soggiunse che
riporre la facesse nel luogo che era stata levata, dicendo quello che da altri
più vecchi udito avea». Obbedito il vescovo al sacerdote, stette
immediatamente meglio, liberato da ogni dolore, con sorpresa del suo
medico.
Se ci si accoda a
Michele da Bologna e al catalogo che traccia nelle sue Constitutiones
prima di Benedetto, e non dopo, dovremmo incontrare San Vindonio. Seguiamo
invece Ciarlanti quandoi dice che «dopo il passaggio all’altra vita di S.
Benedetto, si desse egli al governo di questa nostra Chiesa ed all’altre
fatiche della cura pastorale». Vindonio
figura nel gruppo di dodici vescovi ultraortodossi espulsi dall'Africa
settentrionale nella persecuzione indetta del vandalo ariano Genserico (427).
Caricati a forza su una nave priva di
remi e timone, seguirono l’avventuroso itinerario che oggi tocca ad altri figli
d’Africa. Nella Vita sancti Castrensis, si narra che i dodici vescovi
africani – nell'ordine: Rosio, il più anziano, poi Secondino, quindi Eraclio,
Benigno, Prisco, Elpidio, Marco, Augusto, Canione, Vindonio, Castrese e Tammaro
– giunti fortunosamente sulle coste tirreniche, si divisero e partirono alla
volta di città e luoghi diversi della Campania. Una prima prova della presenza
di Vindonio a Isernia viene data da Ciarlanti proprio per relationem: se
antiche pergamene riferiscono di Caninone (sic) in Acerenza e di S. Marco a
Bovino, perché non pensare a Vindonio a Isernia, «che in que’ tempi [era]
non minore a quelle, eforse di maggior nome e gravezza, e tanto più per stare
ella più vicina al luogo dove questi santi smontarono». Altra prova, questa
più concreta, dell’episcopato isernino di Vindonio, Ciarlanti la individua nella
chiesetta di S. Venditto posta, ai suoi tempi, ad un miglio a sud della città
(sebbene già allora in rovina). Chiesa che sarebbe stata «in suo onore eretta e
fabbricata» Sulla derivazione Venditto-Vindonio, che Ciarlanti chiama corruzione,
avrei tuttavia qualche dubbio: Venditto è piuttosto versione popolare di
Benedetto (con sostituzione della “b” in “v”); mentre Vindonio, altrove (Capua,
p. es.), si è riperpetuato in Mendonio. Ma nella chiesa di Ciarlanti, vi
sarebbe stata una antica immagine sotto la quale compariva «a lettere alquanto
grassette» il cartiglio “S. Vindon… Ep…”, «… e il resto non si conosce
per essere stato consumato dal tempo e dalla pioggia».
Segue una lacuna di tre
secoli, nella quale – si è chiarito – non abbiamo il conforto di Eutodio,
o Eubodio
come scrive Ciarlanti (465), Mario
(499), Innocenzo (501), Sebastiano (595), perché pastori sì, ma
di altro gregge. Né conosciamo il nome per intero del misterioso vescovo indicato dalla sola
lettera N. in un diploma di papa Giovanni IV nell’anno 639.
Arriviamo a Bonifacio: Charles Le Cointe – autore degli Annales ecclesiastici Francorum (1665-1679) – saltando a piè pari
gli altri fin qui richiamati, dà questo Bonifacius come primo, certo vescovo
di Isernia. Anche Cappelletti dà come primo presule proprio Bonifacio, attestato
nel 758: con la dignità di vescovo di Isernia sottoscrive, con altri 21 prelati,
una nota di papa Paolo I indirizzata a un Giovanni abate del monastero di S.
Stefano. Nella serie dei vescovi, segue
lo sfortunato presule («nomen desideratur») che morì sotto le macerie del
terremoto dell’ 847: ce lo dicono il Chronicon Volturnense e Camillo
Pellegrino (1598-1663) nella sua Historia principum Langobardorum: «Nel mese di giugno si ebbe
un grande terremoto per tutto il Beneventano, tale che fu distrutta la città di
Isernia, e ne perì gran parte della sua popolazione, e vi morì anche il vescovo».
Salto di pochi anni,
per ritrovare vescovo Odelgario, del
monastero di Monte Cassino, nominato vescovo sotto il pontificato di papa Leone
IV. Odelgario è uno dei cinquantadue vescovi presenti al Concilio di Ravenna indetto
da papa Giovanni VIII nell’877, nel quale venne proibita la concessione di beni
e territori appartenenti al patrimonio di San Pietro, affermando che dovevano
essere direttamente amministrati dall'erario pontificio. Importante
annotazione: da questo vescovo in poi, la serie dei pastori della Chiesa
cittadina è ininterrotta.
Notizia di Lando e Arderico vescovi in Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, 1846 |
Odelgario, tuttavia,
non è indicato nella cronotassi del Ciarlanti, che dall’anonimo perito sotto le
macerie del terremoto passa direttamente a Lando
(cui associa, come anno, il 946). L’onomastica del vescovo, tipicamente
germanica (da land = patria, terra), tradisce il contesto pienamente
longobardo. Sono gli anni che seguono alla riunificazione della Longobardia
minor, il Ducato longobardo di Benevento, precedentemente diviso tra
Principato di Capua e Ducato di Benevento, ad opera dei principi capuani: Isernia,
inserita in area beneventana, viene a trovarsi – per effetto della nuova
geopolitica – attratta nella sfera di influenza di Capua. Sono proprio i
principi capuani Laidulfo/ Landolfo II e Atenolfo III (fratello del primo e coreggente)
che donano al presule isernino Lando una vigna non molto distante dalla
cattedra vescovile, e che - data, nell'atto, la distanza in piedi dalle mura urbiche - dovrebbe corrispondere all’area dell’odierna
Porta Castello («Una petia de terra nostra cum vinea posita que esse videtur
non multum longe a iamdicto episcopio S. Petri / que habet fines: prima parte muro
antiquo qui fuit de ipsa civitate vetere, sunt inde passus cento e tres»,
così trascrive Antonio Maria Mattei; si noti che è la prima volta che si
incontra l’intitolazione a Pietro per la Cattedrale e la sede vescovile). La
donazione della vinea è versata
nella più antica pergamena che si conserva nell’Archivio Capitolare, e reca la
data del 943.
Secondo qualche
fonte (vd. per es. Giovan Battista Ricci nella sua Cronaca sui Vescovi di
Isernia, manoscritto presente nell’Archivio d’Apollonio; Ciarlanti, di
contro, non ne fa parola.) Lando trovò la morte col terremoto dell’anno 948, rimanendo
anche lui sepolto sotto le macerie della Cattedrale.
La donazione della vinea al vescovo Lando, pergamena del 943 (Archivio Capitolare). Fotografia in Antonio Maria Mattei, Isernia | Una città ricca di storia, Vol. I, Isernia, 1992 |
A Lando, Ciarlanti
fa seguire un Ardenio, che probabilmente è variante onomastica di quel vescovo Arderico, che segue Lando in più
cronotassi e del quale sappiamo essere stato consacrato prima del 964 e cessato dopo il 975. Arderico
è il vescovo che incontriamo in un’altra, e più importante, pergamena dell’Archivio
Capitolare, quella che raccoglie la
donazione non già di una vigna, ma dell’intera contea longobarda di Isernia,
effettuata il 5 maggio del 964 da Pandolfo Capodiferro, principe di Capua e
Benevento, e Landolfo III, suo fratello, associato al trono, a beneficio di un Landolfo
loro cugino: la donazione non istituisce la contea, che preesisteva da quasi un
secolo (880, ca.), ma ne ridefinisce i confini, tutto sommato coincidenti con
quelli dell’attuale provincia.
In quegli stessi anni (966 o, più probabilmente, 968), Isernia viene sempre più attratta nell’orbita di Capua: a conferma della centralità geopolitica del capoluogo campano sulla sempre più decadente Benevento interviene l’ hommage del papa Giovanni XIII, che, riparato lì per sottrarsi ad una congiura romana, remunera il suo ospite, Pandolfo Capodiferro, elevando la città ad arcidiocesi, suo fratello Landolfo ad arcivescovo e rendendo le diocesi-satelliti di Atina, Aquino, Caiazzo, Calvi, Carinola, Caserta, Fondi, Gaeta, Isernia, Sessa Aurunca, Sora, Teano e Venafro chiese suffraganee dell’elevata Capua.