Dynasty
Nell’odonomastica
cittadina i vicoli del centro storico spesso recano l'intitolazione a famiglie
gentilizie. Quello intitolato ai Ricci è il vicolo a lato del Palazzo degli
Uffici che, dopo un primo tratto lastricato e in piano, incrociata Piazzetta
Delfini, si proietta a gradoni verso Porta delle Vacche, per uscire finalmente
sul tratto finale di Rampa Mazzini.
Se abbiamo
un vico Ricci è soprattutto per i due Giovanni Battista, famosi il primo per il
suo lascito culturale; per il suo impegno di amministratore il secondo. Chi
erano questi Ricci? In quale punto della sua storia millenaria hanno incontrato
la città?
Tra i notabili, nell’elencazione data da Ermanno Turco (Isernia in cinque secoli di storia), i
Ricci si incontrano a partire dal sec. XVII. Anche prima, per vero, abbiamo
attestazione in città del cognome Riccio (per es. c’è attestato un Giovanni
Battista Riccio nato nel 1632), da cui
il cognome Ricci potrebbe essere derivato. In ogni caso, i Ricci di cui parliamo hanno per noto capostipite un Francesco Ricci (+ 1740), che si conosce per
aver preso in fitto dal Capitolo della Cattedrale un terreno posto fuori Porta
Catello. L’atto porta la data del 9 settembre 1727.
Francesco è marito
di Colomba d’Apollonio (+ 1751) e padre di quel Giovanni Battista Ricci,
canonico della Cattedrale, nato nel 1718 e autore di notevoli monografie
ancora inedite sulla storia della città di Isernia, due a data 1740 e un'altra a
probabile data 1766 (i manoscritti si trovano nell’ Archivio della Biblioteca
Romano e ne parleremo diffusamente poi). Giovanni Battista Ricci aveva per
fratelli Pietro Vitale (n. 1721 - m. 1763), anche lui canonico della Cattedrale;
Rosa Felicia (n. 1723); Cosmo (n. 1731), che fu che fu mastrogiurato cittadino
nell’anno 1782, e Ippolito (n. 1737).
Cosmo Ricci prese
come moglie una Giovanna Maria Pizzi. Dalla loro unione nacquero Luigi,
Gabriele (anche lui canonico della Cattedrale e professore di teologia al seminario
diocesano), Teresa (maritata Sanchez de Luna, patrizi napoletani) e il secondo
Giovanni Battista Ricci (spesso indicato nei documenti d’archivio come
Gio:Batta Ricci). In un documento del 1802, si attestano come viventi a quella
data, don Gabriele, Gio:Batta e una Serafina Ricci che, se non è altro nome
di Rosa Felicia, dobbiamo considerare come ulteriore sorella.
I due
Giovanni Battista – che spesso vengono confusi per omonimia, fino a fondersi in
un unico, assai longevo eponimo (come, per es., fa Cefalogli in Isernia Strade, vie, vicoli, piazze -
L’onomastica storica che riferisce al canonico anche le gesta del 1799) – sono
dunque zio e nipote: canonico il primo, laico il secondo.
Giovanni Battista senior
Il primo
Giovanni Battista, il canonico (che chiameremo di seguito, per brevità e
intelligibilità, G.B.), riceve la tonsura nel 1735 dal vescovo Giuseppe Persico
(c’è il diploma in Archivio d’Apollonio). Ulteriori notizie biografiche le traiamo
da un suo autografo conservato nel medesimo archivio: un curriculum vitae tracciato a grafia minuta e presentato per concorrere
a ricoprire la dignità di arciprete del Capitolo della Cattedrale. Nel documento,
datato 1762, di sé G.B. dice che «è di anni 44»; che dal 1744 «serve detta Cattedrale da canonico
Penitenziere»; che sempre dal 1744 è rettore del Seminario diocesano; che dal
1743 è cerimoniere del vescovo; che è pure lettore di dommatica, morale, teologia e filologia
presso il Seminario e maestro di scuola pubblica in città; ecc. ecc.
Nel 1782
scrive di proprio pugno alla cancelleria vaticana chiedendo a papa Pio VI «ampia e perpetua licenza di poter leggere e
ritenere de’ libri proibiti per sua erudizione e anche per l’altrui vantaggio».
Il nostro, assetato di conoscenza, chiedeva, e otteneva, di accedere a titoli
messi all’Indice dalla Chiesa
cattolica: L’Index librorum prohibitorum era
l’elenco ufficiale delle stampe proibite nel mondo cristiano, creato nel 1559
da papa Paolo IV (e soppresso solo nel
1966). Qualche anno dopo lo troviamo, indicato come primicerio, tra i testimoni
della traslazione del corpo del vescovo Benedetto, in un verbale dell’ 11
maggio 1789 (citato in Mattei, p. 793).
Cultore di
storia patria, G.B. viene più volte citato da Raffaello Garrucci nella sua Storia di Isernia, perché autore di
molte schede sul patrimonio epigrafico cittadino, consultate anche dal Mommsen.
Ma è nel campo della storia patria che il canonico della Cattedrale è
storiografo secondo al solo Ciarlanti. Angelo Viti, a ragione, lo definisce logografo isernino perché è l’autore –
come abbiamo anticipato – di più monografie sulla storia della città di Isernia,
tutte ancora inedite, conservate in manoscritto presso la Biblioteca comunale “Michele
Romano”.
La Storia di Isernia in
tre manoscritti
Il lascito
di G.B. Ricci consta di più manoscritti. Cefalogli li assume come unico
coerente testo, sciolto in tre libri (« … interessantissima
Storia di Isernia che è rimasta purtroppo inedita; è divisa in tre fascicoli
…»); nulla vieta tuttavia di ritenerli testi autonomi, specie riconoscendo che
non tutti appaiono vergati dalla stessa mano.
Prima pagina del Manoscritto 1740 |
Il primo documento,
che fa parte dell’Archivio d’Apollonio, è un fitto manoscritto cartaceo di 30
fogli vergati in recto e verso (sessanta facciate in tutto) dalla minuta grafia
che assumiamo essere del canonico Ricci. La data 1740 è apposta a matita da
altra mano (probabilmente dallo stesso d’Apollonio). Invece, a margine della
prima pagina, viene indicato «Ricci» con la rotonda grafia che con sufficiente
grado di certezza appartiene al secondo Giovanni Battista Ricci, il nipote ed
erede del logografo. Una terza mano,
più recente, ha aggiunto sotto la didascalia «Ricci» un titolo senz’altro
parziale come «Privilegi e vendita dei
feudi e della città». Il
manoscritto ha per incipit:
«L’Autore a chi legge.
Sono stai molti e diversi coloro
che nelle descrizioni del Sannio si sono affaticati per lasciare ai posteri
spianata la strada delle notizie d’una così deliziosa provincia.
(…)»
Una copia
integrale del testo fu eseguita dal notaio Cesare De Leonardis dal 22 al 29
aprile 1893, tratta dall’originale avuto in prestito, e rubricata come Manoscritto sulla storia di Isernia (1740).
Anche questo documento, più intellegibile, si conserva presso la Biblioteca
civica, cui è stato donato nel 2017 dalla famiglia De Leonardis.
Il secondo manoscritto
riferito a G. B. Ricci (numero di inventario 316 – collocazione 3/XVIII
dell’Archivio della Biblioteca) si compone di 11 carte coerenti, rilegate a
filo, vergate sul recto e sul verso per metà pagina, racchiuse da un ulteriore
foglio staccato che ne fa da copertina. Su di essa, con grafia diversa da
quella del canonico, è scritto in maiuscolo «a. 1766». Più sopra, con caratteri
minuti, troviamo anche qui un «Ricci» vergato certamente da Gio:Batta. Diversa
mano, invece, scrive il testo. Difficilmente, tuttavia, l’autore del
manoscritto 1766 è lo stesso del manoscritto 1740: nel primo, il tratto è molto
più chiaro, aeroso. Se i due testi (1740 e 1766) fossero invertiti come
datazione, potrebbe pensarsi ad una grafia del canonico che col tempo si
indurisce e si fa più nervosa. Qui, invece, è il primo documento ad avere un
tratto più maturo. In ogni caso, sul documento 1766 sono comunque individuabili
almeno tre grafie diverse: oltre a quella principale, si rinviene quella
chiaramente ascrivibile a Gio: Batta Ricci, che sul verso del primo foglio
rubrica una serie di titoli (Uomini
illustri di Isernia, Privilegio del Conte Rugiero, ecc.); ce n’è, poi, una
più moderna e meno chiara, probabilmente di fine Ottocento, che qua le là glossa
a inchiostro nero, e non bruno, nella semipagina lasciata in bianco.
Il
manoscritto ha quale incipit:
«Isernia antichissima città del Sannio fu una tra le principali che ebbero
i Sanniti, siccome si ha da Tolomeo e da Silio Italico in questi versi.»
Prima pagina del Manoscritto 1766 |
Un terzo
lavoro – in Archivio d’Apollonio – è rubricato da Ermanno d’Apollonio come Memorie di Isernia dal 500 al 1232.
Sebbene non sia presente alcun riferimento esplicito a G.B. Ricci, la grafia
del manoscritto è la stessa del manoscritto 1766. Il testo dovrebbe costituire
il seguito del precedente manoscritto 1740 poiché come linea temporale comincia
lì dove l’altro si è interrotto. Le carte e gli inchiostri, così come il fatto
che qui si scriva solo a mezza pagina, fanno pensare tuttavia a testi scritti
in periodo diverso.
Qui
l’incipit è:
«Dopo la partenza di che sì iniqua Gente fece
dall’Italia, né restò ella gran tempo quieta poiché nell’anno 471 vi passò
Odoacre re degli Eruli (…)»
Sempre in
Archivio d’Apollonio e riferiti a G.B. Ricci si hanno diversi scritti sui
vescovi isernini. Un catalogo dei vescovi redatto in latino, si ferma
all’ottantesimo presule, il vescovo Giacinto Maria Iannucci (o Giannucci, pastore
di Isernia dal 14 dicembre 1739 al 26 marzo 1757); appare pertanto verosimile
l’attribuzione della data 1740, presente non sul manoscritto, ma sulla cartella
che lo contiene.
Il fatto che
sui manoscritti di G.B. Ricci si trovi anche la grafia del nipote non può
stupire se si considera che il canonico, alla sua morte intervenuta prima del
cambio di secolo, istituisca con testamento erede universale di tutti i suoi
beni – e probabilmente anche dei libri e manoscritti – il fratello Cosmo, padre
di Gio: Batta.
Autografo di Gio:Batta Ricci (1826) |
Giovanni Battista junior
Perveniamo
così al secondo dei Ricci. Giovanni Battista Ricci, che nelle fonti
documentarie viene sempre indicato come Gio:Batta, condivide con lo zio
canonico, oltre che il nome, anche la fama di uomo di cultura: così lo
apostrofa Pasquale Fortini, in un brano riportato da Mattei: «… ed esso sig. Giambattista mi ha benanche
date varie altre notizie raccolte da suo zio Arciprete, signor don Giambattista
Ricci, uomo dottissimo e letterato egualmente», affermazione che, incidenter tantum, ci conferma che i
lavori storiografici dello zio sono transitati nelle mani del nipote.
Ed in
effetti, almeno in nuce, una Storia di
Isernia in più libri deve comunque averla concepita, se non integralmente realizzata,
anche il giovane Gio:Batta, probabilmente accedendo ai materiali dello zio.
Nell’Archivio d’Apollonio si conserva un autografo del nipote contenente
l’indice del primo libro dell’opera, diviso in più capitoli e con l’altisonante
intitolazione «Memorie istoriche della
Città di Isernia compilate da Gio:Batta Ricci figlio del Dr. D. Cosmo».
In più,
rispetto allo zio, Gio:Batta ha una vocazione all’impegno politico. Nato
intorno al 1770, nel 1799 ha quindi meno di vent’anni. Ciò non gli impedisce di
avere un ruolo di primo piano nelle vicende locali seguite alla proclamazione
della Repubblica napoletana. Ce le racconta un Giuseppe Campelli, di Cingoli,
Macerata, allora uditore del Primo squadrone di Cavalleria delle Marche, inquadrato
nell’esercito dello Stato Pontificio, allora sotto i Francesi. Trascrivo di seguito
l’intera sua dichiarazione, come reperita in autografo in Archivio d’Apollonio:
Cingoli,
10 maggio 1806
Io sottoscritto dichiaro per
mezzo della presente roborata dalla religione del giuramento (…) Mi ricordo benissimo dei fatti accaduti al
sig.re Gio:Battista Ricci della Città di Isernia nel Regno di Napoli giacché
egli fu a parte delle avventure a me sottoscritto accadute in detto luogo.
Difatti essendo io allora
aggiunto capitano allo Stato Maggiore del generale MacDonald ed essendo stato
mandato nella detta Città di Isernia a provvedere il grano per la fortezza di
Capua, che doveva restare assediata per l’evacuazione dei Francesi dal Regnoi
di Napoli, dopo vivo combattimento fui fatto prigioniero dai briganti di quel
luogo e tra i miei compagni di prigionia si trovava il detto signorGio:Battista
Ricci il quale anteriormente si era prestato con tutta l’energia a favorire i
disegni dei Francesi, ed in poi nel pericolo si battè contro i briganti con
valore particolare. Dichiaro di più che, nell’atto in cui egli fu preso dai
detti briganti, fu preso colle armi alla mano e perciò ricevette dai medesimi
infiniti insulti e molte percosse e quantunque egli risultasse prigioniero tra
le mani di detti briganti tuttavia col mezzo degli amici che venivano a
visitarlo operò una cospirazione contro i briganti medesimi, i quali attaccati
dai briganti medesimi e da noi prigionieri, furono dissipati nella maggior
parte, in porzione uccisi ed un porzione arrestati; e per tale fatto derivò che
alcuni Francesi ed io ricevessimo il dono di sopravvivere e la guarnigione di
Capua ricevette il benefizio d’essere maggiormente approvvigionata.
Dichiaro infine che il prelodato
sig. Gio:Battista Ricci assisté me medesimo e l’ufficialità francese che venne
in poi in Isernia coi soldati per scortare i briganti prigionieri con tutta
l’ospitalità e concludo perciòche egli in un governo ben inteso e che si
presentasulla base delle virtù ha tutto il diritto di una non tenue
ricompensa.»
Nel 1803
viene nominato Governatore delle terre di
Pesche (amministratore del feudo) dal marchese di Pietracatella, don Giuseppe
Ceva Grimaldi. Nel 1809 è decurione (consigliere comunale, più o meno) del
municipio di Isernia.
Decreto del 1807 sull'amministrazione dei beni delle case religiose soppresse. Per Isernia, nel collegio è nominato Gio:Batta Ricci |
Prima c’era
stato il decreto del 23 settembre 1807 con cui re Giuseppe Bonaparte, nello
stabilire la costruzione in tempi rapidi della nuova strada rotabile «da Isernia a Sepino per Bojano», opera
necessaria al territorio gravemente provato dal sisma del 1805, a realizzarsi
con fondi derivanti dalla vendita delle soppresse case religiose molisane,
incaricò dell’amministrazione di detti fondi, per Isernia, «il Sindaco e i sigg.ri Andrea Negroni e
Gio:Batta Ricci».
È attestato
ancora decurione negli annio 1816 e 1822. Successivamente sarà primo eletto negli anni dal 1838 al
1842.