Aveva ben poco da esercitare la sua ironia maligna, da cittadino piombato tra i selvaggi, questo Cesare Malpica, prolifico scrittore odeporico (cronache tutte dello stesso tenore?), autore del passo che diamo, tratto dal suo «Un mese negli abruzzi: impressioni», edito a Napoli nel 1844: sarebbe infatti morto quattro anni dopo, a 47 anni, che non è proprio l'età giusta per fare le valigie (se mai ce n'è una).
Pensando a questo, il brano si legge con più gusto.
«Queste strade sì luride, queste case sì meschine, in mezzo a cui grandeggia quella d’un ricco dalle bianche mura, dalle persiane verdi, queste donne scalze dall’aria infermiccia, queste botteghe sì povere, questi uomini sì taciturni, queste mura e questi esseri in mezzo a cui ci arrestiamo allo squillar di mezzodì, formano Isernia.
- Siamo a Isernia, n’è vero?
- Per l’appunto e se chiedesse d’un Notajo io…
- Ho forse un viso da far testamento! Son pari al Tasso, o amico… solo in questo, che non ho di che testare. Solo mi dica se quella bella casa è ‘l grande Albergo d’Isernia!
- Questa città, o Amico, sta fra il Matese e l’Arso, fra il Sessano e ‘l Miranda, due monti, e due fiumi famosi.
- Grazie distintissime ma…
- Fu fondata dagli Aborigeni, nientemeno che da loro!, fu cinque volte abbattuta dalle guerre, tre dai tremuoti, fu una delle sette città Sannite nella guerra sociale qui cadde cattivo M. Marcello co’ suoi, in quella che L. Scipione, e L. Aurelio, avevano scampo dalla fuga.
- Ottimamente son cose che le sa ogni scolare ma…
- Abbiamo molti avanzi di antichità, fra gli altri un acquedotto famoso. Celebriamo due fiere. Siam circa 6,000 abitanti. Possediamo ottime ortaglie, e un terreno ubertoso. Avemmo a concittadini il santo Pier Celestino, Gio. Vincenzo Ciarlanti, e quell’Andrea che fu luogotenente della Regia Camera, e Consigliere d’una Giovanna!
- So anche questo ma…
- Che vorreste di più!
- Una stanza ove adagiar le ossa, e qualche cibo da uomo onesto da cavarmi la fame.
- V’ha altro che questo. Lassù è l’ albergo.
- Ma quel grazioso Palazzotto!
- Se poi cercasse d’una cronaca…
- Dunque lassù è l’albergo!
- Eccellente - per la cronaca poi…
- Nipote degli Aborigeni, vi saluto
E salii passo passo il triste calle. Ma il Signore non abbandona chi soffre.
Come me ascendea l’erta una brunetta, la più gentile brunetta che io m’avessi mai veduta. Vedeste l’Ebe di Canova? Così avea svelta la persona, attonditi i fianchi, tornite le braccia, ben fatti i piedi, virgineo il petto, leggiadro il collo, profilato il viso, vivace lo sguardo, nera la pupilla, vagamente e semplicemente intrecciati i capelli. Il braccio sinistro pendea mollemente, nudo dal gomito in giù; col dritto spiegato in alto sostenea colla mano una gerla di vimini colma di uva.
Andando, quel suo braccio pendente imitava dolcemente il moto del pendolo, i suoi fianchi ondeggiavano sotto la veste turchina dalle cento pieghe, la sua vita mostrava tutta la sua sveltezza, stretta com’era da un corpetto nero, avente intorno al collo l’orlo della camicia bianchissima. La era una bella cariatide ambulante, un vero modello statuario.
- Buon dì, Carina.
Sorrise ma tacque. Oh, la campagna di Roma era lungi assai!
- Quello è l’albergo?
Guardommi come se dicesse: non intendo.
- La locanda, l’osteria, la taverna.
- Sì, la locanda.
- Ma la mi sembra una stalla.
- E già.
- Ah! son sinonimi. Non ve n’ha un’altra ?
- Nel basso.
- Come questa?
- Peggio.
- Benissimo. Vendemmiate n'è vero? Fate buona vendemmia? A che ne siete? Venite di lontano? Vi sentite stanca? Quanti anni avete? Come vi chiamate? Che uva è questa? È buono il vino qui? Quanto si paga? Si vende sempre la ca rne di manzo? Donde vi arriva il pesce?
Nessuna risposta a tutte queste volgari, materiali e prosaiche domande. Quella non era che una ca r iatide; buona ad adornare una parete, a sostenere un cornicione et voila tout. Con tanta povertà d'in tendimento a che serve la bellezza ? Avviso alle belle. Pure in quel cuore dovea esservi qualche speranza! Indovinate. Per me la donna fu sempre un gran mistero.
Or ponete insieme quante lordure potete e sapete; fate che ad esse preseggano i più luridi esseri di questa terra, e avrete l'Osteria d' Isernia. E l'amico pensava agli Aborigini! Quasichè l'antichità del paese cancellasse questa presente mancanza d'ogni decenza!
Infausta fermata. Digiuno entrai, digiuno discesi, e altro d' Isernia non rammento che la cariatide, e la osteria.»
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