Tra i molti primati che abbiamo noi
che viviamo all’ombra dell’Arco di San Pietro vi è quello di insistere su una
delle aree a maggior pericolosità sismica d’Italia (e dunque, ça va
sans dire, d’Europa).
Se scartiamo le scosse d’importazione – nate fuori mappa
e venute qui a far danni – sono due i sistemi di faglie che ciclicamente si
attivano intorno a noi: uno è quello delle Aquae Iuliae (cd.
AIFS), che sega diagonalmente il venafrano (direzione NE-SW) fino al Matese
campano; l’altro (cd. NMFS) è quello che interessa (con lo stesso andamento NE-SW)
la pianura di Bojano e l’isernino. Quando periodicamente entrano in crisi, si
scatena l’inferno: alla faglia del Nord Matese possono essere attribuiti
i terremoti distruttivi del 1456 e del 1805, mentre a quella delle Aquae
Iuliae il terremoto del 1349 e, probabilmente, anche quelli del 346 e
dell’847.
Già: più volte il terremoto ha distrutto Isernia; uno
stesso numero di volte Isernia è stata ricostruita, uscendone non ogni volta
migliore della precedente.
Avere memoria di ciò che è stato pare serva a non ripetere
– come un criceto idiota nella sua ruota – gli errori del passato. Coi
terremoti, questo è più difficile. Nell’astrazione di un mondo perfetto, o
anche solo in Giappone, si risolverebbe tutto cancellando gli abitati storici
dalle fondamenta, sostituendoli con edifici sismicamente isolati. Ma qui, come
per altre realtà appenniniche, queste soluzioni appaiono, appunto, una beffarda
astrazione.
Il nostro centro storico, malgrado gli interventi di
ripristino effettuati sui tanti immobili resi inagibili dal terremoto del
1984 (l’ultimo serio terremoto che ci ha colpiti), presenta ancora situazioni
che – almeno all’occhio profano di chi scrive – solo per miracolo potrebbero
reggere a una scossa, chessò, di magnitudo 6.0 (come quella che un paio di
settimane fa ha fatto scempio di Amatrice, Accumoli e Pescara del
Tronto).
Viviamo under the volcano, con spesse
fette di prosciutto sugli occhi e un santino di santa Barbara nel
portafogli.
Raccolgo qui di seguito notizie intorno ai più forti tremuoti che,
endogeni o esogeni al Molise, hanno tragicamente inciso sul volto della città e
sulle spalle della gente che l’ha abitata; faccio questo con ovvio intento apotropaico:
evoco il male per allontanarlo (mi metterei addosso anche pelli di animali e
danzerei intorno ad un totem se servisse a qualcosa).
I due sistemi di faglia AIFS e NMFS, con gli epicentri dei terremoti che
hanno generato nel corso degli anni
(elaborazione grafica: Paolo Galli;
in Paolo Galli, Il fascino discreto dell'Archeosismologia, ArcheoMolise, gennaio/marzo 2010)
Partiamo dall’ 847, mese di giugno. Terremoti, ce
ne sono stati anche in precedenza, ma di questo abbiamo notizie vergate in un
codice (la Chronica Sancti Benedicti): dunque, a stretto rigore, è
il primo terremoto storico in area molisana. Probabile
epicentro, l’Alta valle del Volturno o il venafrano (la famigerata faglia
delle Aquae Iuliae). Leone Ostiense, citato da Ciarlanti,
riferisce che, per effetto del sisma, Isernia fere tota a fundamentis
corrueret; ne viene distrutto l’impianto romano della città, conservatosi
fino a quel momento. Gli isernini, non potendo rimuovere le macerie, le
spianarono e cominciarono a ricostruire su queste (ecco spiegato perché, p.
es., i resti dei templi sotto la Cattedrale si trovano a circa tre metri di
profondità dall’attuale piano stradale).
Passiamo al 948. Il terremoto viene riportato da Giovan
Battista Ricci nella sua Cronaca sui Vescovi di Isernia (manoscritto
in Archivio d’Apollonio) allorché si riporta che il vescovo Lando perì per
causa del sisma, rimanendo sepolto sotto le macerie della Cattedrale.
Interpolazione: tra il 948 e il 1120, terremoti lievi e
meno lievi negli anni sono registrati per gli anni 981, 990, 1095 e 1117.
Passiamo al 1120: il 10 di novembre un violento terremoto
ha epicentro nell’Alto Volturno. Il Chronicon
riferisce danni a Vandra, in cui si ebbe chiesa crollata e «gente non poca
uccisa».
Interpolazione: A
detta di Baratta e Perrella, la terra trema negli anni 1125, 1134, 1135, 1139,
1140, 1158, 1180, 1198, 1216, 1223, 1227, 1231, 1248, 1273 e 1279
Passiamo al terremoto del 4 settembre 1293, con epicentro
in area matesina. Massimi danni a Bojano e Isernia. Probabilmente è a questo che
si riferisce l’appunto contenuto nei Registri Angioini per l’anno 1294 secondo
il quale, per i molti danni subiti dalla città, re Carlo concesse agli isernini
il condono della terza parte delle tasse[1]. (vd. Mandato di
Carlo II d’Angiò al giustiziere di Contado di Molise per la riduzione della
terza parte delle collette a favore dell’Università di Isernia, 17 agosto 1294,
Archivio di Stato di Napoli, Ufficio della Ricostruzione Angioina, Notamenti e
repertori vari, arm. 1b).
Interpolazione: Perrella riferisce di episodi sismici
non traumatici per gli anni 1309 e 1348.
Due sono i terremoti riportati per l’anno 1349: il 22
gennaio 1349, notte di san Vincenzo, fuit unua terremotus multum magnus.
Epicentro – secondo il Catalogue of Strong Eartquakes in Italy –
fu Isernia. Effetti stimati nel V-VI grado Mercalli.
Si replicò, col botto, il 9 settembre: questa volta
con epicentro nell’area venafrana, lungo la faglia delle Aquae Juliae.
Magnitudo stimata in 6.8 Richter.
A Isernia cadde distrutta la Cattedrale e quasi tutti
gli edifici tra cui le case di Andrea d’Isernia e di Alferio (secondo quanto
si legge in una pergamena conservata nell’Archivio capitolare e trascritta da d’Apollonio).
A detta di Gio:Vincenzo Ciarlanti (ma
ci pare eccessivo) fu terremoto «terribilissimo che sentir si fece non nell’Italia
solo, ma anche in Germania e nell’Ungaria»
Isosisme del «Gran terremoto napoletano» del 1456 (tratto da POSTPISCHL, Atlas of isoseismal maps of Italian earthquakes, 1985) |
Veniamo al 5 dicembre 1456. Definito Gran
terremoto napoletano, perché esteso in tutto il Regno, fu uno dei terremoti
più forti mai registrati in Italia (magnitudo 7.0). Epicentro: l’area di Isernia,
probabilmente la faglia NMFS. Fu sentito con intensità pari al grado X in
più punti distanti, tra l’Abruzzo e l’Irpinia – ma si arrivò ad avvertirlo
anche in Toscana e Sicilia. Probabilmente, si attivarono in sequenza più faglie
appenniniche. Lo sciame sismico durò per diversi anni con alcune forti scosse
che continuarono a flagellare il Centro-Sud d’Italia. È stato stimato che le
vittime del terremoto furono, complessivamente, tra le 20.000 e le 30.000.
Baratta, per Isernia, riporta distruzione pressoché totale
e cita un bilancio di circa 1200 morti. Figliuolo aumenta le
vittime a 1500, su una popolazione complessiva di 2035 persone (407 fuochi),
quasi il 75%.
Nelle sue Memorie Historiche, Ciarlanti
racconta di un altro vescovo (questa volta a nome Giacomo Montaquila) morto
sotto le pietre della Cattedrale. Crollò anche parte della torre campanaria (l’Arco
di S. Pietro). Siccome non ci facciamo mancare niente, al terremoto seguì un
incendio che divampò in sei punti distinti della città, come riportato in
altra pergamena sempre conservata nell’Archivio Capitolare e riportata da d’Apollonio.
Una curiosità: il grande terremoto del 1456 è avvenuto
“in nocte S. Barbarae” (tra il 4 e il 5 dicembre, appunto) e, per
tradizione isernina, Santa Barbara protegge dai terremoti. Le due cose,
tuttavia, non sono collegate. Pare infatti, che il patronato antisismico della
santa (che infatti, a Isernia, si porta in processione il 6 giugno) sia nato
in occasione del diverso terremoto del 6 giugno 1882 (D’Apollonio).
Interpolazione: Perrella, nella sua Effemeride,
annota terremoti per gli anni 1561 e 1627. Danni diversi, ma siamo lontani
dalla potenza sprigionatasi nel gran terremoto napoletano.
Saltiamo all’anno 1688; altro tremuoto caduto in giugno,
questa volta il giorno 5. L’epicentro è esterno al limes regionale
(Sannio beneventano), ma i danni per Isernia sono consistenti. Vi è notizia,
tuttavia, di una sola vittima: Alfonso Perrella nella sua Memoria
storica sul tremuoto del 5 giugno 1688 (1883) riferisce che ne Libro
dei defunti presso la Cattedrale, da lui consultato, sotto la rubrica del 5
giugno si legge: «è morta Francesca, figlia di Benedetto Ferritto quando fu
questo gran tremuoto, che morse sotto le pietre. Parrocchia di S. Giovanni, sepolta
alla ss. Fraternità.»
Questa volta il vescovo, quel Michele da Bologna autore delle Constitutiones Synodales Aesernienses (1693), non perisce nel crollo della Chiesa
cattedrale, che pure subì danni, insieme con la torre campanaria. Nel 1692
ordina lavori di ristrutturazione del tempio, così come del palazzo vescovile;
per il restauro dell’Arco di San Pietro si aspettò invece fino al 1719.
Del 3 novembre 1706 è il cd. Terremoto della
Maiella. «Gran tremuoto negli Abruzzi che rovina molti paesi» (Perrella). La prima scossa si verificò
alle 13.00 del 3 novembre (stima in 6.8 Richter). Complessivamente le vittime
furono circa 2.400. Sulmona fu devastata.
La seconda scossa avvenne alle 3.00 del 4 novembre:
questa volta l’epicentro si spostò un po’ più a sud e diminuì anche l’intensità,
ma comunque fu anch’essa distruttiva: quelle località dove la prima scossa
aveva provocato già danni gravi, ruinarono
totalmente o parzialmente a causa di questa seconda scossa. Le zone
maggiormente colpite furono intorno alla Maiella e quelle lungo il versante
chietino del Morrone.
A Isernia gli effetti furono nell’ordine dell’ VIII
grado della Scala Mercalli: crollò l’interno della chiesa di San Francesco e
rimase inagibile il convento di S. Maria delle Monache.
Interpolazione: Perrella registra terremoti in
Molise negli anni 1779 (eruzione esplosiva del Vesuvio, le cui ceneri arrivano
a piovere fin su Isernia), 1788 e 1794.
Isosisme del «Terremoto di Baranello», 1805 (tratto da POSTPISCHL, Atlas of isoseismal maps of Italian earthquakes, 1985) |
Ultimo terremoto distruttivo che la città ricordi, quello
del 26 luglio 1805 (cd. terremoto di S. Anna) è sisma che colpisce
gran parte dell’Italia centro-meridionale. Le vittime furono complessivamente
5573 e i feriti 1583. L’epicentro viene localizzato nella zona del Matese. Gabriele
Pepe, nel suo Ragguaglio del 1806, lo
indica in Frosolone, probabilmente perché il centro subisce danni fortissimi
e vede morti i ¾ della popolazione. L’Atlante di Postpischl riporta invece
come epicentro Baranello. Comunque sia, epicentro molisanissimo.
Già dal 25 luglio vi erano stati fenomeni precursori e
scosse sismiche di bassa intensità. Intorno alle 2:00 del 26, avvenne la scossa
maggiore stimata in oltre 6 gradi della scala Richter, che durò ben 45 secondi.
Fu devastazione e strage. In quello che siamo abituati a definire cratere,
scrive Pietro Colletta nella sua Storia del Reame di Napoli (1834),
«…sorgevano sessant’una città o terre, albergo a quarantamila o più
abitatori; e di tanto numero due sole città, San Giovanni in Galdo e
Castropignano, benché fondate alle falde del Matese, restarono in piedi.»
Gabriele Pepe scrive che la mattina del 27 luglio gli
ottimati di Isernia informarono già il Re con una missiva: «Ieri sera 26
dell’andante luglio verso le due e mezza della notte cadde tutta la città dal
tremuoto, a tal che buona parte dei cittadini sotterrati vivi dalla rovina ebbe
a pigliar ricovero nell’aperta campagna... Isernia, Maestà, non è più Isernia,
e le fabbriche tutte o son cadute o stanno per cadere al suolo». Ferdinando
(IV di Borbone) invia nella Provincia devastata l’avvocato fiscale
Giannoccoli, per tracciare un primo bilancio dei danni e avviare la
riscostruzione, che si avvierà sotto Gioacchino Murat. Il 2 agosto 1805, il
magistrato annota mestamente: «Isernia ha sofferto la perdita di circa 2000
anime; ed una sola decima parte delle fabbriche esiste in piedi. (…) Questa
città non ha che una sola strada nel mezzo ed una serie di edifizi
lateralmente... Il tremuoto rovinò una metà della Città solamente, e
propriamente quella che si eleva verso l’oriente, ossia la più prossima agli
Appennini.» Per vero, la Carta topografica della Città di Isernia
quasi tutta devastata dall’avvenuto terremoto del 26 luglio corrente anno 1805 (del
cartografo reale Luigi Marchese, pubblicata da Enza Zullo nel 2009) dà, nel
forte contrasto del rosa e nero, una diversa distribuzione dei danni, con
enfasi piuttosto in senso nord-sud e non est-ovest, come dice Giannoccoli.
Altra importantissima fonte documentale è il manoscritto dell’avvocato
Pasquale Fortini, nostro concittadino e testimone oculare del sisma,
pubblicato a stampa, a cura di Titina Sardelli, nel 1984: dà una precisa
descrizione delle distruzioni subite dalla città, vicolo per violo, casa per
casa. Risalendo la Piazza in direzione sud-nord, l’intensità
dei danni cresce via via: da palazzi lesi «in
picciolissima parte», come quello del notaio de Baggis, si arriva – oltre
l’Arco di San Pietro, a constatare che «dal punto del suddetto campanile
tirando in su verso gli Abruzzi, tutto quas’il resto della Città, che ne
formava la maggior parte, l’è un ammasso di pietre, vedendosi solamente alcuni
spezzoni di mura tutte fracassate, le quali maggiormente feriscono gli occhi dell’osservatore».
Caddero la chiesa e il convento di S. Croce, la chiesa della Concezione, la chiesa
e il monastero di S. Chiara, il convento di S. Maria delle Grazie e la Cattedrale
di S. Pietro Apostolo. Fortini indica in 488 i cittadini e in 30 i frastieri morti per effetto del sisma.
Il numero è vicino a quello di 600 che don Antonio Mattei trasse dai registri
obituari della Cattedrale. «I cadaveri vennero sepolti, almeno in gran
parte, nel baglio del rione Codacchio».
Come ha scritto Mauro Gioielli, il terremoto di S. Anna
«provocò migliaia di morti, fece crollare innumerevoli edifici, sconvolse
ampie aree geografiche; ma soprattutto incise profondamente nei sopravvissuti,
segnati nell’anima e negli affetti, in tutto ciò che riguardava la sfera
collettiva e personale. Per molti paesi, quel terremoto fu il “disordine
esiziale”, il cháos che rese necessaria la riorganizzazione
vitale.»
Interpolazione: Dopo il terremoto del 1805 la città assume
una nuova faccia. Si fa presto, tuttavia, a dimenticare di vivere sulla
schiena di un animale solo addormentato. La situazione edilizia dell’Isernia
all’avvio del secolo la traccia l’avv. Ernesto Maiorino nell’assise
comunale del 25 gennaio 1915, all’indomani di un altro spaventoso terremoto,
quello che distrusse Avezzano: «La situazione di questa città a ridosso di
una lunga ma strettissima collina (…) per anni ha impedito che lo sviluppo
edilizio potesse avvenire in una forma razionale. Con il progresso del tempo,
si è avvertito il bisogno sempre crescente di nuovi locali per abitazioni (…)
Che è accaduto? Nessuno avendo pensato a favorire l’ampliamento della città
verso l’altipiano che circonda la stazione ferroviaria, l’abitato, non potendosi
estendere in larghezza per difetto di spazio, è cresciuto in altezza. E
così sono sorti tutti quei castelletti di tre e anche quattro piani che si
vedono nelle vie e nei vicoli, vie e vicoli per la stessa ragione
strettissimi. Oltre a ciò, si è costruito senza alcuna precauzione edilizia,
con buona muratura, è vero, ma facendosi un deplorevole abuso di volte e di
archi, di mensole sporgenti e di costruzioni assai pesanti anche nei piani più
alti delle case. Sintetizzando (…) in una zona sismica principale come questa
si è tollerata la costruzione di una città, per giunta sulle rovine ammonitrici
del 1805, senza nessuna di quelle più elementari garenzie che le norme di
edilizia asismica insegnano da molto tempo.»
Dal 1805 in poi, si registrano scosse negli anni 1806,
1807, 1811, 1812, 1825, 1831, 1841, 1849, 1853, 1856, 1861, 1873, 1874 e 1875
(tutte debitamente registrate da Perrella nella sua Effemeride)
Terremoto di Isernia, 1914. Telegramma di Salandra, Presidente del Consiglio dei Ministri, al sen. Falconi (ASCI) |
Il 6 giugno 1882 si registrò una violenta scossa di
terremoto – 5.3 Richter – con durata di 5-6 secondi, nelle prime ore del
mattino. L’epicentro venne individuato nel versante sud-occidentale del
Matese. Alla scossa principale seguirono repliche nello stesso
giorno e nei giorni seguenti (7 e 8 giugno), con epicentro a Isernia,
Montecassino, Venafro, Piedimonte d’Alife e Cantalupo nel Sannio.
Malgrado la forte intensità, il terremoto causò
soltanto due vittime (un vecchio fu colpito da una pietra caduta dal campanile
della chiesa di Pettorano e un mugnaio fu ucciso dal crollo di un mulino nella
campagna di Monteroduni).
A Isernia, restò seriamente danneggiata la Sottoprefettura
(l’ex convento dei Padri Cappuccini), Santa Maria delle Monache («il
quartiere dei soldati») e molte case riportarono lesioni.
Come detto già, «dopo questo triste evento, per
voto, ad Isernia il 6 giugno di celebra la festa di Santa Barbara (D’Apollonio)»
Il Novecento si presentò subito tremando. La scossa (magnitudo
5.2) avvenne il 31 luglio 1901, intorno a mezzogiorno, con epicentro nell’area
dei Monti della Meta (intorno a Sora). Per Isernia, non si conoscono testimonianze,
ma Cancani in Notizie sui terremoti osservati in Italia durante l’anno
1901, pubblicato in appendice al "Bollettino della Società Sismologica
Italiana") parlò, per la città, di effetti del VI grado della
scala Mercalli (= leggere lesioni negli edifici), e riferisce di un boato che
accompagnò la scossa.
Il 19 dicembre 1914 (un mese prima
del terribile terremoto marsicano) viene registrata, per Isernia, un forte
scossa (della quale tuttavia non vi è menzione nel Catalogue of Strong Earthquakes in Italy, 461 B.C. - 1997).
Fonti d’archivio (tra cui ASCI, b.
170 – f. 3418) danno notizia di uno sciame sismico – probabilmente con epicentro
locale – tra il mese di ottobre e dicembre 1914, con l’evento più significativo
alle ore 4:57 del 19 dicembre.
Una relazione del 29 dicembre 1914 a
firma dell’ing. Giuseppe Viti, tecnico comunale – documento allegato alla
Delibera del C.C. n. 2/2015 – riferisce che «tutte le case indistintamente
sono rimaste depreziate da lesioni nuove, di diversa entità, verificatesi sia
nei muri esterni che interni (…) Dove ho riscontrato qualche dubbio di lontano
pericolo per le lesioni subite, per le quali il fabbricato non potrebbe
resistere ad ulteriori scosse, ho consigliato agli inquilini di starsene
lontani, finché non termini questo stato di movimento sismico. Per altre case
ho provveduto a far puntellare qualche punto di esse dove il pericolo potrebbe
manifestarsi per la gravità delle lesioni stesse.»
Da Roma furono inviati vagoni
ferroviari per il ricovero degli sfollati, e somme di denaro per i primi interventi.
Del terremoto isernino si discusse
alla Camera nella tornata del 18 marzo 1915, allorché si rispose ad una interrogazione
del deputato isernino Cimorelli così formulata: «per sapere con quali
criteri fu negata la concessione della moratoria per un paio di mesi alla
città di Isernia, mentre il ceto dei commercianti versa in gravissimo dissesto
a causa del terremoto, che tormenta quella città dal dicembre 1914.»
Allo sciame indigeno del dicembre
1914, seguì drammatico il terribile terremoto di Avezzano (magnitudo
7.0!) del 13 gennaio 1915, che abbatté la Marsica e parte del
Lazio meridionale causando 30.519 morti; altri 3000 vanno registrati nei
mesi successivi come vittime indirette del sisma: tutta l’area fu
interessata da una eccezionale ondata di freddo, caratterizzata da intense
nevicate e incessanti piogge che aumentarono il disagio delle popolazioni e
contribuirono ad aggravare i danni agli edifici.
A Isernia, gli effetti furono del VI-VII grado: la
scossa causò lesioni nelle abitazioni, nelle scuole, nelle chiese. Il terremoto
del 13 gennaio 1915 peggiorò notevolmente le condizioni statiche degli edifici
della città già danneggiati dalla scossa del 19 dicembre 1914, che ne aveva
reso diversi inabitabili: nella chiesa dell’Immacolata Concezione crollò una
volta; nell’edifico dell’Orfanotrofio Vescovile, nel palazzo Vescovile e nel
Seminario i danni furono notevolmente aggravati.
A Largo Fiera gli sfollati trovarono ricovero in 15 baraccamenti
provvisori, costruiti dal Genio Civile. Le baracche rimasero abitate fino all’agosto
1916, allorché un’ordinanza sindacale impose lo sgombero degli ultimi residenti,
«inquantoché essendo le baracche sfornite di latrine e di scoli luridi, gli
abitanti di esse spandono i loro escrementi sulla pubblica via con grave danno
delle decenza e della salute pubblica» (ASCI,
b. 170 – f. 3418).
Replica dieci anni più tardi. Il cd. Terremoto
del Molise Occidentale: 24 settembre 1925, alle ore 14:33.
Epicentro ad Acquaviva d’Isernia e intensità fino all’ VIII grado della scala
Mercalli, in zona epicentrale. Molti i danni: ad Acquaviva la scossa causò
fenditure gravi in tutte le abitazioni e il crollo parziale di alcune case;
a Isernia caddero comignoli e rimasero gravemente lesionate alcune abitazioni;
a San Pietro Avellana crollò la volta della cupola della chiesa e riportarono
lesioni moltissime case, fra cui alcune in modo grave; a Roccasicura caddero
diversi comignoli e rimasero lesionate molte case. Fortunatamente, non ci
furono vittime. La scossa fu intensa, accompagnata da un rombo, e durò (solo) 6
secondi. La sequenza sismica si protrasse fino al 7 di ottobre.
Bendandi, in un articolo su "Il Resto del Carlino"
del 29 settembre 1925, segnalò la particolare propagazione della scossa in
direzione nord, verso Avezzano, dove fu fortemente avvertita malgrado si fosse
così lontano dall’epicentro; sempre secondo il famoso pseudoscienziato, questo
terremoto originava dalla stessa faglia che aveva scatenato il terremoto del
1805.
Il Terremoto
Irpino del 23 luglio 1930 (che in zona epicentrale, fu – al solito –
distruttivo causando oltre 1000 morti), a Isernia venne avvertito con effetti
del III-IV grado, sensibilmente minori di quelli del successivo terremoto del
1980.
Del 1933 è il Terremoto
della Maiella. La scossa distruttiva avvenne il 26 settembre, all’alba; fu preceduta da
altre due scosse minori. Complessivamente ci furono 12 morti. Nonostante i
numerosi crolli, il numero delle vittime fu contenuto proprio perché la maggior
parte della popolazione aveva abbandonato le case per le scosse premonitrici.
Per Isernia, mancano descrizioni. Nel Bollettino sismico, curato da Cavasino
(1935), l’intensità della scossa fu valutata di effetti pari V grado della
scala Mercalli (caduta di oggetti).
Stiamo sereni – si fa per dire: in mezzo cade una
Guerra mondiale, e per noi un bombardamento altrettanto distruttivo – per
trent’anni.
Nel 1962, altro terremoto in Irpinia, epicentro:
Ariano Irpino (AV): la prima scossa fu sentita il 21 agosto intorno alle
18:00. Dopo un paio d’ore ci furono due scosse violentissime, avvenute a 10
minuti di distanza l’una dall’altra. Questa volta, due soltanto le vittime.
A Isernia, furono riferiti effetti intorno al V grado
Mercalli.
Da qui, in poi, per me è storia contemporanea. Il devastante terremoto irpino del 1980, che
altrove produsse 2.914 morti, 8.848 feriti e 280.000 sfollati, a Isernia venne sensibilmente
avvertito (io c’ero, avevo 8 anni, e lo ricordo perfettamente).
Spavento, ma nessun serio danno. A rimanere lesionato
(e inagibile) è il solo Palazzo San Francesco.
Altro epicentro quattro anni dopo. Per Isernia, l’ultimo
terremoto cui va la memoria, quando si parla di terremoto.
Due le scosse, con epicentro i Monti della Meta (San
Donato Val di Comino, appena oltre il confine regionale): il 7 maggio 1984
(alle ore 19:50, magnitudo 5.9) e l’11 maggio (ore 12:41, magnitudo 5.0).
Sette, complessivamente, i morti. Crolli di intere abitazioni – per fortuna
senza vittime – si ebbero a Colli a Volturno (300 senzatetto), Acquaviva e
Pizzone.
A Isernia «la
popolazione, in preda al panico, si è riversata fuori dal centro abitato. A
tarda notte, la Protezione civile traccia un primo, parziale bilancio: i
feriti, in tutto, sarebbero una quarantina, di cui alcuni in gravi condizioni.»
[la Repubblica, edizione dell’ 8/5/1984].
Oltre cinquecento abitanti del centro storico rimasero
senza tetto; i danni maggiori si ebbero qui, nella parte antica, dove
risultarono lesionati e inagibili il 70% degli edifici. A dire dell’ANSA
(Notiziario italiano del 9/5/1984) la scossa causò la caduta della croce di
bronzo posta in cima alla cattedrale dopo la ricostruzione del 1815.
Si ebbero 20 casi di crolli parziali di tetti e solai.
Altri abbattimenti furono stabiliti con ordinanza ed eseguiti in via
precauzionale. I senzatetto finirono in due roulottopoli alle Piane e a San
Lazzaro, dove molti poi rimasero a vivere negli appartamenti di nuova
costruzione. Per effetto del sisma, il centro storico venne pressoché abbandonato.
Corso Marcelli, il Mercato e le altre piazze vennero puntellate con travi di
legno, che rimasero per anni. La vasta ristrutturazione edilizia (sulla cui
bontà, il tempo sarà giudice) ha riempito il centro storico di pesanti tetti in
cemento armato, reti elettrosaldate e intonaco le facciate prima in pietra
(per un raffronto, vd. le molte e belle fotografie presisma pubblicate da
Valente in Nascita e crescita di una città). Gli interventi di miglioramento
antisismico degli edifici sono ben documentati nel volume di Ramunno, allora
responsabile dell’ufficio tecnico comunale.
Il prossimo?
[Bibliografia: oltre all’imprescindibile Ciarlanti. le Effemeridi di Perrella e il libro su Isernia di Mattei, che riteniamo troppo noti per darne i riferimenti bibliografici, sono stati consultati: BARATTA, I terremoti d'Italia: Saggio di storia, geografia e bibliografia sismica italiana, 1901; D’APOLLONIO – DAMIANI, Cronotassi dei terremoti in Isernia e nel resto del Molise (346 – 1986), 1991; ESPOSITO, LAURELLI, PORFIDO, Il terremoto del 26 luglio 1805. Lo scenario dei danni nella città di Isernia, 1992; PEPE, Ragguaglio istorico-fisico del tremuoto accaduto nel Regno di Napoli la sera del 26 luglio 1805, 1806; FORTINI, Delle cause de' terremoti e loro effetti. Danni di quelli sofferti dalla citta d'Isernia fino a quello de' 26 luglio 1805, 1984; AA.VV., Architettura e terremoto in Molise : atti del convegno del 2 luglio 2005 : "Il Molise, il terremoto e la festa di S. Anna" / a cura di Enza Zullo, 2009; Figliuolo, Il terremoto del 1456, 1988; RAMUNNO Isernia, il terremoto, un’esperienza, 1987; POSTPISCHL, Atlas of isoseismal maps of Italian earthquakes, 1985; GIOIELLI, La festa di Sant’Anna ed altri aspetti della cultura etnica jelsese, (nel volume Jelsi. Storia e tradizioni di una comunità), 2005 - sitografia: http://storing.ingv.it/cfti4med/localities/058385.html]