Masserie di Cristo, per quanto toponomastica prossima alla
bestemmia contadina, fascinosa quanto Casadiavolo, non è paese di fantasia come
leggo quasi dovunque nelle recensioni online, ma esiste davvero a latitudine
41°49'34" N - longitudine 14°11'5'' E; certo, nel romanzo di Andrea Gentile è
un espediente, un fondale, un qualunque posto al di qua della Gustav. Masserie
di Cristo sta per un Sud di voli di mosche su interiora di animale, di sterpi e
cespugli che attendono incendi di stagionali, di pietre roventi sotto il sole.
Un Sud immoto, oppure lento come la camminata di Pellicone, guardiano silente
che pare personaggio di Omero («quel suo
essere è costituito di tempo»). Un
Sud dove neanche la telefonia è mobile e l’utente desiderato non è mai raggiungibile;
dove l’unica tecnologia serve per irraggiare la Vita in diretta del papa morente, un prefunerale di stato trasmesso
in tutte le case.
C’è questo io narrante stranamente al femminile – dico stranamente
perché la scrittura, invece, è molto maschile – in
preda a una rovinosa paranoia sul destino della madre infermiera, sicuramente morta. La narrazione segue
questa ricerca trafelata e inconcludente del corpo materno, prefigurato in un
incastro di lamiere, in un letto d’ospedale, dietro il marmo della cappella di
famiglia. La recherche spinge fuori
dalla casa, dentro altre case, lungo i sentieri, tra Masserie di Cristo e una
trasfigurata San Pietro Avellana – che qui scopro non avere nulla a che fare
con le nocciole, quanto piuttosto con la sannitica Volana di Spurio Carvilio,
già eponimo della vicina Carovilli. Paesaggi onirici, come se De Chirico avesse
dipinto campagne. Ci muoviamo osservando le leggi che regolano il sogno, condensazione, simbolizzazione: incontriamo la
grande pecora Okapia, il Bar Pubblico deserto, il cimitero che cancella le foto
dei morti, solarizzate in un bianco totale, fantasmi, anime bianchissime.
Non una lettura facile, sia chiaro: benché spezzata in frasi
di soggetto, predicato e complemento (non necessariamente in questo ordine) la
scrittura è tutt’altro che semplice. Il registro è quello del monologo
teatrale, del poema in versi liberi. Pagine che vanno lette a voce alta.