La supplica che Pietro Venditti - partigiano della parte sbagliata e, quindi, riparato pro tempore in Sangermano - fa ad un altro rifugiato, Francesco II, il 15 ottobre 1860, si trova citata e riportata, con minime variazioni, in più testi. Qui può leggersi quella rinvenuta in Giacomo Oddo, Il Brigantaggio o L'Italia dopo la dittatura di Garibaldi, vol. I, Milano, 1863, p. 226 (da cui è tratta anche l'immagine del brigante). L'omicidio di un tenente garibaldino varrà bene una rivendita di sale e tabacchi, o no?
« Sire! Pietro Venditti fu Giuseppe del comune di Carpinone, calzolajo, divotamente l'espone quanto appresso. Il petente, nel giorno 4 stante funzionava da capo urbano in detto comune; e con venti paesani di mia fidùcia feci arrestare undici rivoltosi, e li consegnai al tenente di gendarmeria in Isernia, nel giungere i garibaldini furono posti in libertà. Il giorno 5 corrente, amazzai un tenente garibaldino, e lo disarmai, ed il fucile con la bajonetta, per ordine del maggiore Gardi, lo consegnai al comandante d'Isernia. Il petente, a tal bravura non può più avvicinarsi alla sua famiglia, temendo di perder la vita, e rimanere la sua famiglia desolata in mezzo di una strada, di tenera età; un solo figlio potrebbe dare un tozzo di pane alla sua famiglia, ma ritrovasi al servizio della M. S. nel reggimento di artiglieria nella decimottava compagnia. La beneficenza della M. S. mi dia ordine onde poter arrestare coloro che si ritrovano latitanti, che sono rivoltosi contro la real corona, e mi limiti una forza per agire contra i medesimi. Se la clemenza della M. S. mi fa la grazia di potermi lucrare un tozzo di pane per la famiglia sarebbe la seguente: in Carpinone un venditore patentato di sale e tabacco ritrovasi arruolato coi garibaldini, e non può più far parte della M. S. il petente bramerebbe occupare un tal posto per sostenere la sua famiglia. Se la M. V. li fa la grazia. »
lunedì 30 agosto 2010
giovedì 26 agosto 2010
«Un cupo fremito di popolo» - La reazione del 1860 a Carpinone nelle carte del giudice mandamentale Giuseppe di Giuseppe
Relazione
del giudice Giuseppe di Giuseppe sui fatti di Carpinone nel 1860 – Alla Sezione di accusa presso la Corte di Appello di Napoli
«Appena pubblicato da Francesco II di Borbone l’atto sovrano, 29 giugno 1860, col quale chiamava in vigore lo Statuto di Re Ferdinando II del 1848, in Carpinone la voce che quello avrebbe avuto poca durata perché era stato consigliato, non da generosità di principe ma da paura, trovò disposizioni favorevoli a perversi intendimenti dei Sanfedisti. Imperocché nel seguente luglio dello stesso anno 1860 pubblicamente si vociferava che quello Statuto, ripristinato per violenza, sarebbe stato abolito, né mancava chi pubblicamente andava insinuando doversi sopprimere la Guardia Nazionale ed il novello Corpo municipale, doversi restaurare l’assolutismo, con voci e insinuazioni che nel corso di quel mese produssero popolari tumulti, i quali andarono ogni dì più che l’altro, crescendo di intensità. Nel 19 agosto dell’anno medesimo un tal Giuseppe Tamasi, girando pel paese, gridava: Viva Franceschiello! Oggi deve venire Franceschiello! Oggi vedremo se viene Franceschiello! ed alzava un faschetto di vino libando alle orgie future. Il tumulto cominciò; la Guardia Nazionale, quantunque provvista di armi, dové chiudersi nella Caserma, ove le autorità locali vennero investite e bloccate con lancio di pietre e con colpi di archibugio, per tutto il corso della notte, finché i rinchiusi non si salvarono forando un muro, “una porta murata” per riparare nella casa del canonico Iamurri. Gli eccessi si avvicendarono finché non giunsero alle proporzioni di un attentato contro il Governo sui cennati fatti dell’agosto 1860. Ma tali fatti erano forieri di quelli atroci eccidi che nei mesi posteriori insanguinarono Isernia e i circostanti municipii. La sera del 30 settembre 1860 in quella città, capoluogo di circondario scoppiò il primo grido della reazione borbonica. Nello stesso tempo un cupo fremito di popolo incominciò a serpeggiare per le vie di Carpinone, i liberali presentivano la procella. Un Giovanni Tamasi di Salvatore, con altri congiunti, aggredì il posto di Guardia Nazionale, ordinando in nome di Francesco II che tutti si armassero per proclamare e festeggiare il ritorno [del re], intimare lo sterminio ai galantuomini e le masse, poi, insorte organizzavano una rpocessione per onorare le effigie di Francesco II e Maria Sofia. Un mastro Pietro Venditti si fece in quella sera e nei giorni successivi il cerimoniere di quelle orgie invereconde, avvegnacché, innalzato un altare in mezzo a largo Croce, esponeva alla venerazione quell’effigie, alle quali col turibolo dava l’incenso; ed onde apparisse chiaro il concetto di quei baccanali, lo stesso cerimoniere erasi provveduto di una quantità di budella d’agnello, e quelle mostrando diceva: «A canne si debbono vendere, come queste, le budella dei liberali». E quasi non bastassero tali eccitamenti vi si aggiungeva la danza, i ribelli vi si atteggiavano a cannibali accennando a stragi e saccheggi.
La cosa pubblica era a discrezione degli insorti capitanati da Giovanni Tamasi e per ordine suo fu fatta la requisizione di armi nelle case dei galantuomini furono perciò disarmati, fra gli altri, i signori D. Giovanni De Simone, Emilio Di Blasio, Nicolangelo Sassi, Costanzo Petrunti, Giacinto Carnevale, D. Gabriele Venditti fu Gaetano.
Da Isernia intanto arrivavano ordini peri quali si nominava il nuovo Sindaco, il Primo Eletto, il Capo Urbano, né mancò Michele Martella Vacca che assunse le funzioni di giudice. Al disarmo dovevano seguire atti di violenza, e quelli s’iniziarono la notte del 3 ottobre, quando furono strappati dai domestici lari i signori Costanzo Petrunti, Saverio Di Blasio, Saverio Antenucci, Domenico Ciccone, i giovani figli di Gennaro Ciccone, Vincenzo e Federico, Francesco De Dominicis, Fiorangelo Tamasi e altri. Condotti alla caserma per essere spediti a Isernia deliberavansi se dovessero andarvilegati o liberi e partirono, travagliati lungo la via da sevizie, minacciati tratto tratto di morte, fino a che non furono rinchiusi nelle carceri d’Isernia ove trovarono salvezza all’arrivo del Governatore De Luca il giorno 4 del mese di ottobre. L’ottuagenario canonico signor Giuseppe Guerra, narrava con l’eloquenza d’un martire, tutta la sua lunga serie di spasmi che ebbero a soffrire, dalla sera del 4 ottobre quando, infermo di gotta fu costretto a fuggire perché requisito dai rivoltosi, errando di tugurio in tugurio, il più delle volte respinto brutalmente finché non cadde il giorno 5 negli artigli di quelle belve che il trassero in Isernia donde passò a Gaeta su di un carretto. Alle famiglie degli arrestati, si ripetevano richieste di danari e viveri e il giorno 6 fu aggredita e saccheggiata al casa del signor Gennaro Ciccone, commettendovi depredazioni d’oggetti oltre a ducati 2000 ed incendiando tutte le carte di famiglia. La reazione intanto seguiva il suo corso in Isernia con varie vicende. Caduta dopo il 5 ottobre in potere delle solfatesche borboniche il suo destino dipendeva dagli eventi delle armi. La legione condotta dall’intrepido colonnello Nullo era il 17 ottobre battuta in Pettorano dai Borbonici. I prodi del generale Garibaldi, dispersi per le campagne cercarono raggiungere i loro fratelli d’arme, ma quasi tutti caddero vittime di quei feroci ribelli che non pugnavano, ma da vili uccidevano uomini inermi e sperduti in luoghi ad essi ignoti. In quest’opera si distinsero i reazionarii di Carpinone. All’alba del 18 ottobre di posero alla caccia. Tre di essi avevano arrestati cinque garibaldini, ma sotto le mura di Carpinone due furono uccisi a colpi d’arma da fuoco, gli altri e tre furono trucidati con scure e pali. Ne giungevano altri due e ottenevano lo stesso destino. Più tardi arrivavano altri diciotto prigionieri, quattordici furono trucidati barbaramente, derubati, cacciati in un fosso; altri quattro furono salvi per l’opera di un gendarme. (Chi? Se ne ignora il nome). Più tardi giungevano altri sette garibaldini e furono tutti e sette immolati da quei feroci i quali non si arrestarono ad inferire colpi sui cadaveri. Così, con lo scempio di ventotto difensori della Patria rimaneva non estinta la fama di quei cannibali carpinonesi, ma altre vittime mancarono. »
La Corte di appello di Napoli, sezione d’accusa, nel 9 luglio del 1863, sul processo compilato dal giudice del Mandamento di Carpinone, sig. Giuseppe di Giuseppe, ben 145 individui, imputati indistintamente per distruzione del Governo costituzionale proclamato il 25 luglio 1860; di eccitamento alla guerra civile fra gli abitanti di una stessa popolazione armandoli ed invitandoli ad armarsi, gli uno contro gli altri; di devastazione, stragi e saccheggio contro un classe di cittadini, con omicidio di 48 garibaldini, rinviava dinanzi alla Corte d’Assise di Campobasso. Gli accusati furono 84; i testimoni 177.
[Tratto da: Pietro Valente, Il 1860 a Isernia, Pettoranello e Carpinone - Notizie storiche, inedito. Copia in manoscritto di Erminia Testa [1932]; Pietro Valente (Carpinone, 3.6.1862 – 15.1.1938), più volte sindaco di Carpinone e consigliere provinciale, nel periodo a cavallo fra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, fu il promotore di iniziative e opere pubbliche, costruzione dell’acquedotto, della ferrovia, del cimitero, della fognatura, dell’impianto di illuminazione pubblica con energia elettrica. A Pietro Valente è intitolato l'edificio scolastico di Carpinone.]
del giudice Giuseppe di Giuseppe sui fatti di Carpinone nel 1860 – Alla Sezione di accusa presso la Corte di Appello di Napoli
«Appena pubblicato da Francesco II di Borbone l’atto sovrano, 29 giugno 1860, col quale chiamava in vigore lo Statuto di Re Ferdinando II del 1848, in Carpinone la voce che quello avrebbe avuto poca durata perché era stato consigliato, non da generosità di principe ma da paura, trovò disposizioni favorevoli a perversi intendimenti dei Sanfedisti. Imperocché nel seguente luglio dello stesso anno 1860 pubblicamente si vociferava che quello Statuto, ripristinato per violenza, sarebbe stato abolito, né mancava chi pubblicamente andava insinuando doversi sopprimere la Guardia Nazionale ed il novello Corpo municipale, doversi restaurare l’assolutismo, con voci e insinuazioni che nel corso di quel mese produssero popolari tumulti, i quali andarono ogni dì più che l’altro, crescendo di intensità. Nel 19 agosto dell’anno medesimo un tal Giuseppe Tamasi, girando pel paese, gridava: Viva Franceschiello! Oggi deve venire Franceschiello! Oggi vedremo se viene Franceschiello! ed alzava un faschetto di vino libando alle orgie future. Il tumulto cominciò; la Guardia Nazionale, quantunque provvista di armi, dové chiudersi nella Caserma, ove le autorità locali vennero investite e bloccate con lancio di pietre e con colpi di archibugio, per tutto il corso della notte, finché i rinchiusi non si salvarono forando un muro, “una porta murata” per riparare nella casa del canonico Iamurri. Gli eccessi si avvicendarono finché non giunsero alle proporzioni di un attentato contro il Governo sui cennati fatti dell’agosto 1860. Ma tali fatti erano forieri di quelli atroci eccidi che nei mesi posteriori insanguinarono Isernia e i circostanti municipii. La sera del 30 settembre 1860 in quella città, capoluogo di circondario scoppiò il primo grido della reazione borbonica. Nello stesso tempo un cupo fremito di popolo incominciò a serpeggiare per le vie di Carpinone, i liberali presentivano la procella. Un Giovanni Tamasi di Salvatore, con altri congiunti, aggredì il posto di Guardia Nazionale, ordinando in nome di Francesco II che tutti si armassero per proclamare e festeggiare il ritorno [del re], intimare lo sterminio ai galantuomini e le masse, poi, insorte organizzavano una rpocessione per onorare le effigie di Francesco II e Maria Sofia. Un mastro Pietro Venditti si fece in quella sera e nei giorni successivi il cerimoniere di quelle orgie invereconde, avvegnacché, innalzato un altare in mezzo a largo Croce, esponeva alla venerazione quell’effigie, alle quali col turibolo dava l’incenso; ed onde apparisse chiaro il concetto di quei baccanali, lo stesso cerimoniere erasi provveduto di una quantità di budella d’agnello, e quelle mostrando diceva: «A canne si debbono vendere, come queste, le budella dei liberali». E quasi non bastassero tali eccitamenti vi si aggiungeva la danza, i ribelli vi si atteggiavano a cannibali accennando a stragi e saccheggi.
La cosa pubblica era a discrezione degli insorti capitanati da Giovanni Tamasi e per ordine suo fu fatta la requisizione di armi nelle case dei galantuomini furono perciò disarmati, fra gli altri, i signori D. Giovanni De Simone, Emilio Di Blasio, Nicolangelo Sassi, Costanzo Petrunti, Giacinto Carnevale, D. Gabriele Venditti fu Gaetano.
Da Isernia intanto arrivavano ordini peri quali si nominava il nuovo Sindaco, il Primo Eletto, il Capo Urbano, né mancò Michele Martella Vacca che assunse le funzioni di giudice. Al disarmo dovevano seguire atti di violenza, e quelli s’iniziarono la notte del 3 ottobre, quando furono strappati dai domestici lari i signori Costanzo Petrunti, Saverio Di Blasio, Saverio Antenucci, Domenico Ciccone, i giovani figli di Gennaro Ciccone, Vincenzo e Federico, Francesco De Dominicis, Fiorangelo Tamasi e altri. Condotti alla caserma per essere spediti a Isernia deliberavansi se dovessero andarvilegati o liberi e partirono, travagliati lungo la via da sevizie, minacciati tratto tratto di morte, fino a che non furono rinchiusi nelle carceri d’Isernia ove trovarono salvezza all’arrivo del Governatore De Luca il giorno 4 del mese di ottobre. L’ottuagenario canonico signor Giuseppe Guerra, narrava con l’eloquenza d’un martire, tutta la sua lunga serie di spasmi che ebbero a soffrire, dalla sera del 4 ottobre quando, infermo di gotta fu costretto a fuggire perché requisito dai rivoltosi, errando di tugurio in tugurio, il più delle volte respinto brutalmente finché non cadde il giorno 5 negli artigli di quelle belve che il trassero in Isernia donde passò a Gaeta su di un carretto. Alle famiglie degli arrestati, si ripetevano richieste di danari e viveri e il giorno 6 fu aggredita e saccheggiata al casa del signor Gennaro Ciccone, commettendovi depredazioni d’oggetti oltre a ducati 2000 ed incendiando tutte le carte di famiglia. La reazione intanto seguiva il suo corso in Isernia con varie vicende. Caduta dopo il 5 ottobre in potere delle solfatesche borboniche il suo destino dipendeva dagli eventi delle armi. La legione condotta dall’intrepido colonnello Nullo era il 17 ottobre battuta in Pettorano dai Borbonici. I prodi del generale Garibaldi, dispersi per le campagne cercarono raggiungere i loro fratelli d’arme, ma quasi tutti caddero vittime di quei feroci ribelli che non pugnavano, ma da vili uccidevano uomini inermi e sperduti in luoghi ad essi ignoti. In quest’opera si distinsero i reazionarii di Carpinone. All’alba del 18 ottobre di posero alla caccia. Tre di essi avevano arrestati cinque garibaldini, ma sotto le mura di Carpinone due furono uccisi a colpi d’arma da fuoco, gli altri e tre furono trucidati con scure e pali. Ne giungevano altri due e ottenevano lo stesso destino. Più tardi arrivavano altri diciotto prigionieri, quattordici furono trucidati barbaramente, derubati, cacciati in un fosso; altri quattro furono salvi per l’opera di un gendarme. (Chi? Se ne ignora il nome). Più tardi giungevano altri sette garibaldini e furono tutti e sette immolati da quei feroci i quali non si arrestarono ad inferire colpi sui cadaveri. Così, con lo scempio di ventotto difensori della Patria rimaneva non estinta la fama di quei cannibali carpinonesi, ma altre vittime mancarono. »
La Corte di appello di Napoli, sezione d’accusa, nel 9 luglio del 1863, sul processo compilato dal giudice del Mandamento di Carpinone, sig. Giuseppe di Giuseppe, ben 145 individui, imputati indistintamente per distruzione del Governo costituzionale proclamato il 25 luglio 1860; di eccitamento alla guerra civile fra gli abitanti di una stessa popolazione armandoli ed invitandoli ad armarsi, gli uno contro gli altri; di devastazione, stragi e saccheggio contro un classe di cittadini, con omicidio di 48 garibaldini, rinviava dinanzi alla Corte d’Assise di Campobasso. Gli accusati furono 84; i testimoni 177.
[Tratto da: Pietro Valente, Il 1860 a Isernia, Pettoranello e Carpinone - Notizie storiche, inedito. Copia in manoscritto di Erminia Testa [1932]; Pietro Valente (Carpinone, 3.6.1862 – 15.1.1938), più volte sindaco di Carpinone e consigliere provinciale, nel periodo a cavallo fra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, fu il promotore di iniziative e opere pubbliche, costruzione dell’acquedotto, della ferrovia, del cimitero, della fognatura, dell’impianto di illuminazione pubblica con energia elettrica. A Pietro Valente è intitolato l'edificio scolastico di Carpinone.]
mercoledì 25 agosto 2010
«Rispettosi verso le autorità Civili» - Jadopi sull'isernino tipo del 1858.
Stefano Jadopi, nel 1858, descrisse gli abitanti d'Isernia come miti e ossequiosi del potere; appena due anni dopo, i miti e i rispettosi gli uccisero un figlio e gli appiccarono fuoco al palazzo. Tutto imputabile all'ubbriachezza?
(I brani che seguono sono tratti dall'articolo monografico "Isernia" che Jadopi scrisse per la rivista napoletana Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato; monografia recentemente ripubblicata a cura di Fernando Cefalogli).
«(...) Qualità fisiche degli abitanti. Valida e robusta può dirsi la costituzione degl’ iserniani, coloriti nel vivo nel viso in grazia del clima e sua esposizione. Le donne gaie ed avvenenti, e non mancano delle
palesi (contadine) che han tipo di greca fisonomia. Entrambi i sessi si trovano disposti a qualunque forza più o meno risentita, e specialmente gli uomini, che dai primi anni si esercitano al lavoro, a mestiere di facchino acquistano una pronunziata muscolatura. In generale la capellatura è la castagna chiara-oscura, scarsa la bionda, e non sono affetti da malsanie, o malattie dominanti, tranne quelle febbri che s’avverano d’autunno, causate più dalle vicende atmosferiche di caldo, e freddo, e dalle acque interrotte di tale stagione, e per lo più in decorsi al tipo d’intermittenti, e si curano coi soliti mezzi che la medicina somministra.
Qualità morali - Rispettosi verso i vecchi, le autorità Civili ed Ecclesistiche, e de’ propri genitori coi quali convivono fino all’età abile, ma appena coniugati abbandonano il tetto paterno, e questa specie di repentina emancipazione è la causa del veder attiepidita la primitiva educazione; e tanto dimostra l’urbanità più nei vecchi, che nei giovani. Del resto ospitale per quanto le circostanze lo permettono, cedevoli ai bisogni del forastiero, senza mostrare sgarbatezza nel prestare il proprio ufizio: affaccendati al lavoro, operosissimi, e perciò dovrebbero ritenersi esclusi patimenti morali, trovandosi lontani dall’ozio, ma l’ubbriachezza che spesso invade la testa popolare gl’incita alla rissa, omicidio, furto, e questo specialmente all’epoca del ricolto de prodotti, e per vendette non mancano alle volte ricorrere alla devastazione immatura de’ medesimi, alla distruzione delle piante fruttifere ed all’incendio dei ricoveri campestri, come lo stato di un decennio ne porge chiaro argomento.»
(I brani che seguono sono tratti dall'articolo monografico "Isernia" che Jadopi scrisse per la rivista napoletana Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato; monografia recentemente ripubblicata a cura di Fernando Cefalogli).
«(...) Qualità fisiche degli abitanti. Valida e robusta può dirsi la costituzione degl’ iserniani, coloriti nel vivo nel viso in grazia del clima e sua esposizione. Le donne gaie ed avvenenti, e non mancano delle
palesi (contadine) che han tipo di greca fisonomia. Entrambi i sessi si trovano disposti a qualunque forza più o meno risentita, e specialmente gli uomini, che dai primi anni si esercitano al lavoro, a mestiere di facchino acquistano una pronunziata muscolatura. In generale la capellatura è la castagna chiara-oscura, scarsa la bionda, e non sono affetti da malsanie, o malattie dominanti, tranne quelle febbri che s’avverano d’autunno, causate più dalle vicende atmosferiche di caldo, e freddo, e dalle acque interrotte di tale stagione, e per lo più in decorsi al tipo d’intermittenti, e si curano coi soliti mezzi che la medicina somministra.
Qualità morali - Rispettosi verso i vecchi, le autorità Civili ed Ecclesistiche, e de’ propri genitori coi quali convivono fino all’età abile, ma appena coniugati abbandonano il tetto paterno, e questa specie di repentina emancipazione è la causa del veder attiepidita la primitiva educazione; e tanto dimostra l’urbanità più nei vecchi, che nei giovani. Del resto ospitale per quanto le circostanze lo permettono, cedevoli ai bisogni del forastiero, senza mostrare sgarbatezza nel prestare il proprio ufizio: affaccendati al lavoro, operosissimi, e perciò dovrebbero ritenersi esclusi patimenti morali, trovandosi lontani dall’ozio, ma l’ubbriachezza che spesso invade la testa popolare gl’incita alla rissa, omicidio, furto, e questo specialmente all’epoca del ricolto de prodotti, e per vendette non mancano alle volte ricorrere alla devastazione immatura de’ medesimi, alla distruzione delle piante fruttifere ed all’incendio dei ricoveri campestri, come lo stato di un decennio ne porge chiaro argomento.»
mercoledì 18 agosto 2010
Vero, verosimile e falso sulle teste dei briganti. Isernia, 1861-1869.
Su Wikimedia Commons, fino allo scorso 5 agosto, era ospitato un file intitolato "Teste isernia.jpg": una foto di tre gabbie contenenti altrettante teste tagliate, riferite a briganti esposti ad exemplum fuori dalle mura di Isernia («teste mozzate di contadini esposte come monito dall'esercito savoiardo nei pressi di Isernia durante la campagna militare condotta per contrastare il brigantaggio nell'ex-Regno delle Due Sicilie»). Il file, caricato nel 2008, ha avuto recente smentita, e cambio d'indirizzo, quando è stato riconosciuto come ingrandimento di una foto di Giuseppe Messerotti Benvenuti riferita a decapitazioni di Boxer nella Cina del 1900 (qui la serie di scatti). La foto, per la sua icasticità, viene tuttora riportata in più siti internet accanto a quelle - forse più macabre - in cui briganti, celebri e meno celebri, posano afflosciati, tumefatti, scomposti, trofei di caccia del neonato esercito italiano. Ciò che è particolare e che, in quei forum in cui si scontrano ancora (centocinquanta anni dopo Teano e Gaeta) neoborbonici e veterosavoiardi, il falso delle teste tagliate di Isernia viene utilizzato, estensivamente, a tacciare di calunnia tutti quegli episodi di barbarie agita da italiani su italiani, bersaglieri contro donne e bambini, quasi che Boxer fossero anche i morti di Pontelandofo e Casalduni.
[Credo che centocinquanta anni siano una distanza sufficiente a inquadrare il Risorgimento nei suoi confini di guerra di conquista; mi lascio volentieri dietro sia l'inconcludente cazzeggio dei neoborbonici che vorrebbero a Napoli rinsediati gli spagnuoli, sia le zuccherose ricostruzioni deamicisiane, tutte eroici tamburini e piume di bersagliere, che, probabilmente, ci verranno ripresentate con funzione antileghista nel prossimo anno 2011.]
[Credo che centocinquanta anni siano una distanza sufficiente a inquadrare il Risorgimento nei suoi confini di guerra di conquista; mi lascio volentieri dietro sia l'inconcludente cazzeggio dei neoborbonici che vorrebbero a Napoli rinsediati gli spagnuoli, sia le zuccherose ricostruzioni deamicisiane, tutte eroici tamburini e piume di bersagliere, che, probabilmente, ci verranno ripresentate con funzione antileghista nel prossimo anno 2011.]
venerdì 13 agosto 2010
"Stato di incertezza, di palpiti e di allarme permanente". La città del gennaio 1861 nel deliberato del Consiglio municipale
«L'anno milleottocentosessantuno, il giorno otto Gennaio. In Isernia. Il Consiglio Municipale, presieduto dal Sindaco, ha nuovamente preso in considerazionel'anormale stato di incertezza, di palpiti e di allarme permanente in cui (...) trovasi questa infelice Città, e Distretto, senza aver finora ottenuto alcun mezzo efficace al prevenire novelle catastrofi (...).
E' pur troppo vero che la reazione d'Isernia, avente capo in Gaeta, perché domata e non estinta, riceve ogni giorno nuovo alimento dai proclami imcendiarii che vi pervengono, dagl'incitamenti che v'ispirano le migliaia di soldati , reduci dalle Terre Papali, e dal brigantaggio dagli Abruzzi dilatatosi sino a questo Distretto, il quale, ridondante di reazionarii fuggiaschi, già presenta per le campagne delle bande armate, che minacciano d'invadere gli abitati, e specialmente questo d'Isernia, dove in tre carceri niente affatto sicure sono ammassati circa cinquecento reazionarii del Distretto, che nelle loro mire di evasione, di vendetta e di stragge [sic] fanno assegnamento sul concorso di più migliaia di famiglie, colle quli sono in rapporto, e sulle irrompenti masse armate.
Intanto, tra la vastità di tanto pericolo ed i mezzi esistenti a vincerli o a paralizzarli intercede un abisso. Appena trecentocinquanta soldati del 5° di Linea per la custodia delle carceri, compresi una cinquantina di essi distaccati per i Comuni di Carpinone e Fornelli, quantocché qui non bisognano meno di due completi battaglioni, per averne uno disponibile a Colonna Mobile al fin di rimettere l'ordine nel Distretto, ed affrontare le bande armate!
Non avvi Brigata di Carabinieri! Non vi sono armi e munizioni per la Guardia Nazionale! Manca da un pezzo un Sotto Governatore, ed un Giudice titolare; ed infine si risente il bisogno di un funzionario di polizia sufficiente all'imperiosità delle circostanze! Insomma trovasi questa città, e questo Distretto, in tale stato di abbandono da parte del Real Governo, ed in tale condizione di pericolo da parte della sediziosa plebe , che se di vantaggio non si accorre così pronti, e valevoli i rimedii, vi saranno irredimibilmente perdute le classi liberali, e pacifiche; di cui s'insidia la proprietà, l'onore, e la vita.
Il Municipio quindi, interprete dei bisogni e delle aspirazioni di tutti i buoni cittadini, a pienezza di voti delibera che senza altro ritardo il Sindaco D. Giacinto Santoro si rechi alla Capitale per rassegnare al Consiglio di Luogotenenza tutta la serie di (...) bisogni, supplicando i Signori Consiglieri incaricati del Dicastero della Guerra e della Polizia di prontamente disporre o far disporre
1° - Che un altro Battaglione di Forze regolari sia destinato per questa Piazza, ed in numero completo vi pervenga al più presto, sia per imporvi l'ordine, sia per domare la baldanza delle bande armate (...);
2° - Che una Tenenza di Carabinieri vi sia spedita e stanziata per la tranquillità interna, e per la sicurezza dei processi;
3° - Che almeno trecento fucili con corrispondenti munizioni si mandino alla Guardia Nazionale di questa Città, prescindendo da quelle bisognevoli alle Guardie di tutto il Distretto;
4° - Perché il personale bisognevole al buon andamento del Governo Locale sia o fornito, se manchi, o corretto se erroneo;
5° - E perché si vuotino le malsicure carceri distrettuali, mandando i detenuti nelle grandi prigioni centrali in Campobasso.
Tanto si è deliberato oggi suddetto giorno colla soggiunta di rassegnarsi questo atto al Consig.re della Polizia e della Guerra perché se ne ottengano salutari ed energiche provvidenze.»
(Trascrizione del verbale di deliberazione dell'8 gennaio 1861, in Archivio Biblioteca comunale "Michele Romano", busta 1, fasc. 25).
E' pur troppo vero che la reazione d'Isernia, avente capo in Gaeta, perché domata e non estinta, riceve ogni giorno nuovo alimento dai proclami imcendiarii che vi pervengono, dagl'incitamenti che v'ispirano le migliaia di soldati , reduci dalle Terre Papali, e dal brigantaggio dagli Abruzzi dilatatosi sino a questo Distretto, il quale, ridondante di reazionarii fuggiaschi, già presenta per le campagne delle bande armate, che minacciano d'invadere gli abitati, e specialmente questo d'Isernia, dove in tre carceri niente affatto sicure sono ammassati circa cinquecento reazionarii del Distretto, che nelle loro mire di evasione, di vendetta e di stragge [sic] fanno assegnamento sul concorso di più migliaia di famiglie, colle quli sono in rapporto, e sulle irrompenti masse armate.
Intanto, tra la vastità di tanto pericolo ed i mezzi esistenti a vincerli o a paralizzarli intercede un abisso. Appena trecentocinquanta soldati del 5° di Linea per la custodia delle carceri, compresi una cinquantina di essi distaccati per i Comuni di Carpinone e Fornelli, quantocché qui non bisognano meno di due completi battaglioni, per averne uno disponibile a Colonna Mobile al fin di rimettere l'ordine nel Distretto, ed affrontare le bande armate!
Non avvi Brigata di Carabinieri! Non vi sono armi e munizioni per la Guardia Nazionale! Manca da un pezzo un Sotto Governatore, ed un Giudice titolare; ed infine si risente il bisogno di un funzionario di polizia sufficiente all'imperiosità delle circostanze! Insomma trovasi questa città, e questo Distretto, in tale stato di abbandono da parte del Real Governo, ed in tale condizione di pericolo da parte della sediziosa plebe , che se di vantaggio non si accorre così pronti, e valevoli i rimedii, vi saranno irredimibilmente perdute le classi liberali, e pacifiche; di cui s'insidia la proprietà, l'onore, e la vita.
Il Municipio quindi, interprete dei bisogni e delle aspirazioni di tutti i buoni cittadini, a pienezza di voti delibera che senza altro ritardo il Sindaco D. Giacinto Santoro si rechi alla Capitale per rassegnare al Consiglio di Luogotenenza tutta la serie di (...) bisogni, supplicando i Signori Consiglieri incaricati del Dicastero della Guerra e della Polizia di prontamente disporre o far disporre
1° - Che un altro Battaglione di Forze regolari sia destinato per questa Piazza, ed in numero completo vi pervenga al più presto, sia per imporvi l'ordine, sia per domare la baldanza delle bande armate (...);
2° - Che una Tenenza di Carabinieri vi sia spedita e stanziata per la tranquillità interna, e per la sicurezza dei processi;
3° - Che almeno trecento fucili con corrispondenti munizioni si mandino alla Guardia Nazionale di questa Città, prescindendo da quelle bisognevoli alle Guardie di tutto il Distretto;
4° - Perché il personale bisognevole al buon andamento del Governo Locale sia o fornito, se manchi, o corretto se erroneo;
5° - E perché si vuotino le malsicure carceri distrettuali, mandando i detenuti nelle grandi prigioni centrali in Campobasso.
Tanto si è deliberato oggi suddetto giorno colla soggiunta di rassegnarsi questo atto al Consig.re della Polizia e della Guerra perché se ne ottengano salutari ed energiche provvidenze.»
(Trascrizione del verbale di deliberazione dell'8 gennaio 1861, in Archivio Biblioteca comunale "Michele Romano", busta 1, fasc. 25).
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