martedì 19 ottobre 2010
«Antologia della Reazione» in e-book
Gli articoli sui fatti dell'autunno 1860 pubblicati in modo discontinuo su "lib[e]ri" diventano un e-book organico e polposo, liberamente scaricabile dal sito internet della biblioteca. L' «Antologia della Reazione» è il primo quaderno digitale della biblioteca Michele Romano (e speriamo non l'ultimo).
venerdì 15 ottobre 2010
Nomi e cognomi. Carpinone 18 ottobre 1860
«Notizie fornite da testimoni presenti ai fatti.
Michele Petta fu Giuseppangelo riferisce: “I primi eccidi si consumarono il 18 ottobre, e i primi garibaldini arrestati dalle Guardie urbane di Macchiagodena in numero di sette venivano condotti in Isernia. Vestivano abiti borghesi ed erano disarmati. Appena arrivati nel Largo Croce [in Carpinone] trovarono un nucleo di gente eccitata, e Raffaele Valente, Menestrella, lanciò un colpo di pietra che ferì un garibaldino alla bocca perché alla domanda chi Viva? Rispose: Viva Garibaldi! Dal mucchio si gridò uccidiamoli, uccidiamoli tutti! Ma le Guardie urbane riuscirono a sottrarli al pericolo imminente e li avviarono per la carrozzabile verso Isernia. Però raggiunti da varii cafoni nelle vicinanze dell’attuale Camposanto, da Antonio Fabrizio, Socarlo, Michelangelo Venditti, Totaro, Leonardo Palladino, Patana, Luigi Cagna, Zirocco, ed un tal detto Cialone, furono trucidati. Sul luogo del misfatto, arrivò ultimo tra i cafoni Raffaele Mascieri fu Felice, Scelato, che per sfregio e spavalderia recise due teste ai corpi già resi cadaveri e sospese pei capelli alle canne dei fucili, come in trionfo, fra gli evviva e gli schiamazzi dei compagni le portò in paese, a testimoniare il bieco e feroce delitto. Le teste furono poi gittate nella fossa comune carnaria della Chiesa della Concezione, dove allora si seppellivano i morti. I corpi dei garibaldini furono sotterrati ai piedi di un olivo là dove erano stati trucidati. Nel 1926 il Podestà Focanti ne ordinò l’esumazione delle ossa e le fece deporre riunite in un loculo del Cimitero comunale: mancavano due teste. (…) Il Mascieri dopo 50 anni di lavori forzati, per grazia sovrana, tornò in paese e dopo 37 giorni di libertà morì, il 27 novembre 1910.
Altri quattro garibaldini, sfuggiti all’uccisione sotto Pettoranello, sbandati venivano a Carpinone. Due di essi furono massacrati a colpi di fucile (tra gli uccisori Gaetano Minchilli lo scarpariello) altri due si rifugiarono in casa di Leonardo Antenucci Tribazio che li tenne nascosti sotto un grosso tino, ove stettero tre giorni. Non potendo più rimanervi, furono costretti ad uscire e, attraverso il giardino, di D. Emilio Petrecca volevano prendere la via della Fontanella. Scovati da Domenico Martella, Cartuccia, Maria Malerba, Caibo, raggiunti, a colpi di scure furono uccisi e poiché coi loro movimenti, nei momenti ultimi dell’agonia, accennavano ancora ad un fil di vita, la Malerba con un grosso sasso schiacciò loro la testa. La scure operata era di Michele Tamasi fu Romualdo, Felicella, il quale la portava ancora intrisa di sangue sul braccio. Visto dall’arciprete Scioli, per spavalderia, disse che aveva fatto il suo. Ciò gli fruttò 20 di lavori forzati, mentre il Martella e la Malerba, autori dell’uccisione tornarono a casa risalendo la Maruccia, nion furono denunciati e restarono impuniti.
I garibaldini uccisi al Largo della Croce, presso la Taverna attuale di Giuseppe Valente, Zincone, vicino ad un albero di pioppo allora esistente, erano scampati alla catastrofe di Pettoranello e dispersi, arrestati nelle campagne in numero di diciassette venivano condotti a Isernia da M° Leone Giancola di Castelpetroso. I loro corpi, evirati dalle donne, sanguinanti, maciullati, nudi, furono gettati in una fornace da calce alla contrada Neviera, a valle della carrozzabile Aquilonia.”»
Pietro Valente, Il 1860 a Isernia, Pettoranello e Carpinone - Notizie storiche, inedito. Copia manoscritta da Erminia Testa nel 1932 (Archivio Venditti).
Michele Petta fu Giuseppangelo riferisce: “I primi eccidi si consumarono il 18 ottobre, e i primi garibaldini arrestati dalle Guardie urbane di Macchiagodena in numero di sette venivano condotti in Isernia. Vestivano abiti borghesi ed erano disarmati. Appena arrivati nel Largo Croce [in Carpinone] trovarono un nucleo di gente eccitata, e Raffaele Valente, Menestrella, lanciò un colpo di pietra che ferì un garibaldino alla bocca perché alla domanda chi Viva? Rispose: Viva Garibaldi! Dal mucchio si gridò uccidiamoli, uccidiamoli tutti! Ma le Guardie urbane riuscirono a sottrarli al pericolo imminente e li avviarono per la carrozzabile verso Isernia. Però raggiunti da varii cafoni nelle vicinanze dell’attuale Camposanto, da Antonio Fabrizio, Socarlo, Michelangelo Venditti, Totaro, Leonardo Palladino, Patana, Luigi Cagna, Zirocco, ed un tal detto Cialone, furono trucidati. Sul luogo del misfatto, arrivò ultimo tra i cafoni Raffaele Mascieri fu Felice, Scelato, che per sfregio e spavalderia recise due teste ai corpi già resi cadaveri e sospese pei capelli alle canne dei fucili, come in trionfo, fra gli evviva e gli schiamazzi dei compagni le portò in paese, a testimoniare il bieco e feroce delitto. Le teste furono poi gittate nella fossa comune carnaria della Chiesa della Concezione, dove allora si seppellivano i morti. I corpi dei garibaldini furono sotterrati ai piedi di un olivo là dove erano stati trucidati. Nel 1926 il Podestà Focanti ne ordinò l’esumazione delle ossa e le fece deporre riunite in un loculo del Cimitero comunale: mancavano due teste. (…) Il Mascieri dopo 50 anni di lavori forzati, per grazia sovrana, tornò in paese e dopo 37 giorni di libertà morì, il 27 novembre 1910.
Altri quattro garibaldini, sfuggiti all’uccisione sotto Pettoranello, sbandati venivano a Carpinone. Due di essi furono massacrati a colpi di fucile (tra gli uccisori Gaetano Minchilli lo scarpariello) altri due si rifugiarono in casa di Leonardo Antenucci Tribazio che li tenne nascosti sotto un grosso tino, ove stettero tre giorni. Non potendo più rimanervi, furono costretti ad uscire e, attraverso il giardino, di D. Emilio Petrecca volevano prendere la via della Fontanella. Scovati da Domenico Martella, Cartuccia, Maria Malerba, Caibo, raggiunti, a colpi di scure furono uccisi e poiché coi loro movimenti, nei momenti ultimi dell’agonia, accennavano ancora ad un fil di vita, la Malerba con un grosso sasso schiacciò loro la testa. La scure operata era di Michele Tamasi fu Romualdo, Felicella, il quale la portava ancora intrisa di sangue sul braccio. Visto dall’arciprete Scioli, per spavalderia, disse che aveva fatto il suo. Ciò gli fruttò 20 di lavori forzati, mentre il Martella e la Malerba, autori dell’uccisione tornarono a casa risalendo la Maruccia, nion furono denunciati e restarono impuniti.
I garibaldini uccisi al Largo della Croce, presso la Taverna attuale di Giuseppe Valente, Zincone, vicino ad un albero di pioppo allora esistente, erano scampati alla catastrofe di Pettoranello e dispersi, arrestati nelle campagne in numero di diciassette venivano condotti a Isernia da M° Leone Giancola di Castelpetroso. I loro corpi, evirati dalle donne, sanguinanti, maciullati, nudi, furono gettati in una fornace da calce alla contrada Neviera, a valle della carrozzabile Aquilonia.”»
Pietro Valente, Il 1860 a Isernia, Pettoranello e Carpinone - Notizie storiche, inedito. Copia manoscritta da Erminia Testa nel 1932 (Archivio Venditti).
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