martedì 10 dicembre 2019

I due Giovanni Battista Ricci, "logografi" nell'Isernia del XVIII secolo

Dynasty
Nell’odonomastica cittadina i vicoli del centro storico spesso recano l'intitolazione a famiglie gentilizie. Quello intitolato ai Ricci è il vicolo a lato del Palazzo degli Uffici che, dopo un primo tratto lastricato e in piano, incrociata Piazzetta Delfini, si proietta a gradoni verso Porta delle Vacche, per uscire finalmente sul tratto finale di Rampa Mazzini.
Se abbiamo un vico Ricci è soprattutto per i due Giovanni Battista, famosi il primo per il suo lascito culturale; per il suo impegno di amministratore il secondo. Chi erano questi Ricci? In quale punto della sua storia millenaria hanno incontrato la città?
Tra i notabili, nell’elencazione data da Ermanno Turco (Isernia in cinque secoli di storia), i Ricci si incontrano a partire dal sec. XVII. Anche prima, per vero, abbiamo attestazione in città del cognome Riccio (per es. c’è attestato un Giovanni Battista Riccio  nato nel 1632), da cui il cognome Ricci potrebbe essere derivato. In ogni caso, i Ricci di cui parliamo hanno per noto capostipite un Francesco Ricci (+ 1740), che si conosce per aver preso in fitto dal Capitolo della Cattedrale un terreno posto fuori Porta Catello. L’atto porta la data del 9 settembre 1727.
Francesco è marito di Colomba d’Apollonio (+ 1751) e padre di quel Giovanni Battista Ricci, canonico della Cattedrale, nato nel 1718 e autore di notevoli monografie ancora inedite sulla storia della città di Isernia, due a data 1740 e un'altra a probabile data 1766 (i manoscritti si trovano nell’ Archivio della Biblioteca Romano e ne parleremo diffusamente poi). Giovanni Battista Ricci aveva per fratelli Pietro Vitale (n. 1721 - m. 1763), anche lui canonico della Cattedrale; Rosa Felicia (n. 1723); Cosmo (n. 1731), che fu che fu mastrogiurato cittadino nell’anno 1782, e Ippolito (n. 1737).
Cosmo Ricci prese come moglie una Giovanna Maria Pizzi. Dalla loro unione nacquero Luigi, Gabriele (anche lui canonico della Cattedrale e professore di teologia al seminario diocesano), Teresa (maritata Sanchez de Luna, patrizi napoletani) e il secondo Giovanni Battista Ricci (spesso indicato nei documenti d’archivio come Gio:Batta Ricci). In un documento del 1802, si attestano come viventi a quella data, don Gabriele, Gio:Batta e una Serafina Ricci che, se non è altro nome di Rosa Felicia, dobbiamo considerare come ulteriore sorella.
I due Giovanni Battista – che spesso vengono confusi per omonimia, fino a fondersi in un unico, assai longevo eponimo (come, per es., fa Cefalogli in Isernia Strade, vie, vicoli, piazze - L’onomastica storica che riferisce al canonico anche le gesta del 1799) – sono dunque zio e nipote: canonico il primo, laico il secondo.

Giovanni Battista senior
Il primo Giovanni Battista, il canonico (che chiameremo di seguito, per brevità e intelligibilità, G.B.), riceve la tonsura nel 1735 dal vescovo Giuseppe Persico (c’è il diploma in Archivio d’Apollonio). Ulteriori notizie biografiche le traiamo da un suo autografo conservato nel medesimo archivio: un curriculum vitae tracciato a grafia minuta e presentato per concorrere a ricoprire la dignità di arciprete del Capitolo della Cattedrale. Nel documento, datato 1762,  di sé G.B. dice che «è di anni 44»; che dal 1744 «serve detta Cattedrale da canonico Penitenziere»; che sempre dal 1744 è rettore del Seminario diocesano; che dal 1743 è cerimoniere del vescovo; che è pure lettore di dommatica, morale, teologia e filologia presso il Seminario e maestro di scuola pubblica in città; ecc. ecc. 
Nel 1782 scrive di proprio pugno alla cancelleria vaticana chiedendo a papa Pio VI «ampia e perpetua licenza di poter leggere e ritenere de’ libri proibiti per sua erudizione e anche per l’altrui vantaggio». Il nostro, assetato di conoscenza, chiedeva, e otteneva, di accedere a titoli messi all’Indice dalla Chiesa cattolica: L’Index librorum prohibitorum era l’elenco ufficiale delle stampe proibite nel mondo cristiano, creato nel 1559 da papa Paolo IV  (e soppresso solo nel 1966). Qualche anno dopo lo troviamo, indicato come primicerio, tra i testimoni della traslazione del corpo del vescovo Benedetto, in un verbale dell’ 11 maggio 1789 (citato in Mattei, p. 793).
Cultore di storia patria, G.B. viene più volte citato da Raffaello Garrucci nella sua Storia di Isernia, perché autore di molte schede sul patrimonio epigrafico cittadino, consultate anche dal Mommsen. Ma è nel campo della storia patria che il canonico della Cattedrale è storiografo secondo al solo Ciarlanti. Angelo Viti, a ragione, lo definisce logografo isernino perché è l’autore – come abbiamo anticipato – di più monografie sulla storia della città di Isernia, tutte ancora inedite, conservate in manoscritto presso la Biblioteca comunale “Michele Romano”.

La Storia di Isernia in tre manoscritti
Il lascito di G.B. Ricci consta di più manoscritti. Cefalogli li assume come unico coerente testo, sciolto in tre libri (« … interessantissima Storia di Isernia che è rimasta purtroppo inedita; è divisa in tre fascicoli …»); nulla vieta tuttavia di ritenerli testi autonomi, specie riconoscendo che non tutti appaiono vergati dalla stessa mano.

Prima pagina del Manoscritto 1740

Il primo documento, che fa parte dell’Archivio d’Apollonio, è un fitto manoscritto cartaceo di 30 fogli vergati in recto e verso (sessanta facciate in tutto) dalla minuta grafia che assumiamo essere del canonico Ricci. La data 1740 è apposta a matita da altra mano (probabilmente dallo stesso d’Apollonio). Invece, a margine della prima pagina, viene indicato «Ricci» con la rotonda grafia che con sufficiente grado di certezza appartiene al secondo Giovanni Battista Ricci, il nipote ed erede del logografo. Una terza mano, più recente, ha aggiunto sotto la didascalia «Ricci» un titolo senz’altro parziale come «Privilegi e vendita dei feudi e della città». Il manoscritto ha per incipit:

«L’Autore a chi legge.
Sono stai molti e diversi coloro che nelle descrizioni del Sannio si sono affaticati per lasciare ai posteri spianata la strada delle notizie d’una così deliziosa provincia. (…)»     

Una copia integrale del testo fu eseguita dal notaio Cesare De Leonardis dal 22 al 29 aprile 1893, tratta dall’originale avuto in prestito, e rubricata come Manoscritto sulla storia di Isernia (1740). Anche questo documento, più intellegibile, si conserva presso la Biblioteca civica, cui è stato donato nel 2017 dalla famiglia De Leonardis.
Il secondo manoscritto riferito a G. B. Ricci (numero di inventario 316 – collocazione 3/XVIII dell’Archivio della Biblioteca) si compone di 11 carte coerenti, rilegate a filo, vergate sul recto e sul verso per metà pagina, racchiuse da un ulteriore foglio staccato che ne fa da copertina. Su di essa, con grafia diversa da quella del canonico, è scritto in maiuscolo «a. 1766». Più sopra, con caratteri minuti, troviamo anche qui un «Ricci» vergato certamente da Gio:Batta. Diversa mano, invece, scrive il testo. Difficilmente, tuttavia, l’autore del manoscritto 1766 è lo stesso del manoscritto 1740: nel primo, il tratto è molto più chiaro, aeroso. Se i due testi (1740 e 1766) fossero invertiti come datazione, potrebbe pensarsi ad una grafia del canonico che col tempo si indurisce e si fa più nervosa. Qui, invece, è il primo documento ad avere un tratto più maturo. In ogni caso, sul documento 1766 sono comunque individuabili almeno tre grafie diverse: oltre a quella principale, si rinviene quella chiaramente ascrivibile a Gio: Batta Ricci, che sul verso del primo foglio rubrica una serie di titoli (Uomini illustri di Isernia, Privilegio del Conte Rugiero, ecc.); ce n’è, poi, una più moderna e meno chiara, probabilmente di fine Ottocento, che qua le là glossa a inchiostro nero, e non bruno, nella semipagina lasciata in bianco.
Il manoscritto ha quale incipit:

«Isernia antichissima città del Sannio fu una tra le principali che ebbero i Sanniti, siccome si ha da Tolomeo e da Silio Italico in questi versi

Prima pagina del Manoscritto 1766 

Un terzo lavoro – in Archivio d’Apollonio – è rubricato da Ermanno d’Apollonio come Memorie di Isernia dal 500 al 1232. Sebbene non sia presente alcun riferimento esplicito a G.B. Ricci, la grafia del manoscritto è la stessa del manoscritto 1766. Il testo dovrebbe costituire il seguito del precedente manoscritto 1740 poiché come linea temporale comincia lì dove l’altro si è interrotto. Le carte e gli inchiostri, così come il fatto che qui si scriva solo a mezza pagina, fanno pensare tuttavia a testi scritti in periodo diverso.
Qui l’incipit è:

«Dopo la partenza di che sì iniqua Gente fece dall’Italia, né restò ella gran tempo quieta poiché nell’anno 471 vi passò Odoacre re degli Eruli (…)»

Sempre in Archivio d’Apollonio e riferiti a G.B. Ricci si hanno diversi scritti sui vescovi isernini. Un catalogo dei vescovi redatto in latino, si ferma all’ottantesimo presule, il vescovo Giacinto Maria Iannucci (o Giannucci, pastore di Isernia dal 14 dicembre 1739 al 26 marzo 1757); appare pertanto verosimile l’attribuzione della data 1740, presente non sul manoscritto, ma sulla cartella che lo contiene.
Il fatto che sui manoscritti di G.B. Ricci si trovi anche la grafia del nipote non può stupire se si considera che il canonico, alla sua morte intervenuta prima del cambio di secolo, istituisca con testamento erede universale di tutti i suoi beni – e probabilmente anche dei libri e manoscritti – il fratello Cosmo, padre di Gio: Batta.

Autografo di Gio:Batta Ricci (1826)


Giovanni Battista junior
Perveniamo così al secondo dei Ricci. Giovanni Battista Ricci, che nelle fonti documentarie viene sempre indicato come Gio:Batta, condivide con lo zio canonico, oltre che il nome, anche la fama di uomo di cultura: così lo apostrofa Pasquale Fortini, in un brano riportato da Mattei: «… ed esso sig. Giambattista mi ha benanche date varie altre notizie raccolte da suo zio Arciprete, signor don Giambattista Ricci, uomo dottissimo e letterato egualmente», affermazione che, incidenter tantum, ci conferma che i lavori storiografici dello zio sono transitati nelle mani del nipote.
Ed in effetti, almeno in nuce, una Storia di Isernia in più libri deve comunque averla concepita, se non integralmente realizzata, anche il giovane Gio:Batta, probabilmente accedendo ai materiali dello zio. Nell’Archivio d’Apollonio si conserva un autografo del nipote contenente l’indice del primo libro dell’opera, diviso in più capitoli e con l’altisonante intitolazione «Memorie istoriche della Città di Isernia compilate da Gio:Batta Ricci figlio del Dr. D. Cosmo».    
In più, rispetto allo zio, Gio:Batta ha una vocazione all’impegno politico. Nato intorno al 1770, nel 1799 ha quindi meno di vent’anni. Ciò non gli impedisce di avere un ruolo di primo piano nelle vicende locali seguite alla proclamazione della Repubblica napoletana. Ce le racconta un Giuseppe Campelli, di Cingoli, Macerata, allora uditore del Primo squadrone di Cavalleria delle Marche, inquadrato nell’esercito dello Stato Pontificio, allora sotto i Francesi. Trascrivo di seguito l’intera sua dichiarazione, come reperita in autografo in Archivio d’Apollonio:

            Cingoli, 10 maggio 1806
Io sottoscritto dichiaro per mezzo della presente roborata dalla religione del giuramento (…)  Mi ricordo benissimo dei fatti accaduti al sig.re Gio:Battista Ricci della Città di Isernia nel Regno di Napoli giacché egli fu a parte delle avventure a me sottoscritto accadute in detto luogo.
Difatti essendo io allora aggiunto capitano allo Stato Maggiore del generale MacDonald ed essendo stato mandato nella detta Città di Isernia a provvedere il grano per la fortezza di Capua, che doveva restare assediata per l’evacuazione dei Francesi dal Regnoi di Napoli, dopo vivo combattimento fui fatto prigioniero dai briganti di quel luogo e tra i miei compagni di prigionia si trovava il detto signorGio:Battista Ricci il quale anteriormente si era prestato con tutta l’energia a favorire i disegni dei Francesi, ed in poi nel pericolo si battè contro i briganti con valore particolare. Dichiaro di più che, nell’atto in cui egli fu preso dai detti briganti, fu preso colle armi alla mano e perciò ricevette dai medesimi infiniti insulti e molte percosse e quantunque egli risultasse prigioniero tra le mani di detti briganti tuttavia col mezzo degli amici che venivano a visitarlo operò una cospirazione contro i briganti medesimi, i quali attaccati dai briganti medesimi e da noi prigionieri, furono dissipati nella maggior parte, in porzione uccisi ed un porzione arrestati; e per tale fatto derivò che alcuni Francesi ed io ricevessimo il dono di sopravvivere e la guarnigione di Capua ricevette il benefizio d’essere maggiormente approvvigionata.
Dichiaro infine che il prelodato sig. Gio:Battista Ricci assisté me medesimo e l’ufficialità francese che venne in poi in Isernia coi soldati per scortare i briganti prigionieri con tutta l’ospitalità e concludo perciòche egli in un governo ben inteso e che si presentasulla base delle virtù ha tutto il diritto di una non tenue ricompensa.»  
     
Nel 1803 viene nominato Governatore delle terre di Pesche (amministratore del feudo) dal marchese di Pietracatella, don Giuseppe Ceva Grimaldi. Nel 1809 è decurione (consigliere comunale, più o meno) del municipio di Isernia.

Decreto del 1807 sull'amministrazione dei beni delle case religiose soppresse.
Per Isernia, nel collegio è nominato Gio:Batta Ricci 

Prima c’era stato il decreto del 23 settembre 1807 con cui re Giuseppe Bonaparte, nello stabilire la costruzione in tempi rapidi della nuova strada rotabile «da Isernia a Sepino per Bojano», opera necessaria al territorio gravemente provato dal sisma del 1805, a realizzarsi con fondi derivanti dalla vendita delle soppresse case religiose molisane, incaricò dell’amministrazione di detti fondi, per Isernia, «il Sindaco e i sigg.ri Andrea Negroni e Gio:Batta Ricci».

È attestato ancora decurione negli annio 1816 e 1822. Successivamente sarà primo eletto negli anni dal 1838 al 1842.