giovedì 21 aprile 2011

«Mediterranean villages, an architectural journey»

Due young architects e il loro viaggio posdiploma fine anni '70 attraverso Italia, Dalmazia, Grecia e Spagna: paesi, si sa, che hanno una razza, una faccia, cotta al sole del Mediterraneo. I due sono gli House, Steven e Cathi. Venti anni dopo, diventeranno famosi, con studio affermato a San Francisco e interessi in Messico, ma all'epoca, americani quali sono, alla storia patria dell'architettura tutta d' acciaio e vetrocemento, antepongono una comprensibile fascinazione per gli abitati nostri, millenari, cristallizzati in un loro immutabile bozzolo di pietra. Fanno scatti in bianconero e schizzi a penna su taccuini che più tardi andranno a comporre Mediterranean villages, an architectural journey, volume di grosso formato edito in Australia nel 2004 da The Images Publishing Group.
Per l'Italia vengono ritratti undici paesi in tutto; di questi, tre insistono nel raggio di dieci chilometri. Spontaneo chiedersi dove si realizzi questa fortunata concentrazione di perle, nel paese che vanta il più alto numero mondiale di monumenti tutelati dall'Unesco. Si penserà d'istinto alle Cinque Terre, all'Umbria, alla Costiera amalfitana.
Fuori strada: i tre paesi contermini sono Carpinone, Pesche e Miranda. A scorrere l'indice del volume, viene quasi un brivido weird: in quale altro elenco, dopo Assisi e Siena trovereste i misconosciuti borghi molisani? In quale altro testo leggereste «We have had the pleasure of several long, lingering trips trough Italy, a living museum of art, history and architecture. Exploring the refined details of Siena, the rugged simplicity of Pesche (...)»?
A far passare l'entusiasmo, la considerazione che le foto sono di fine anni '70, e raccolgono testimonianze iconografiche di una civiltà fatta di fiat 127 e trerruote; assenza di intonaci merdicolori, alluminio, parabole e - va di moda dirlo - eolico selvaggio. Diverso effetto farebbero le foto, se fatte ora. E forse non ci sarebbero più tre paesi su undici nell'indice di Mediterranean villages.

Un'anteprima del volume è disponibile su Google Books.
In carta e ossa, invece, è qui in biblioteca.

giovedì 14 aprile 2011

«Il Risorgimento a Isernia», un'introduzione

Si presenta oggi il volume «Il Risorgimento a Isernia», frutto dell'attività di ricerca degli alunni delle classi terze della Scuola secondaria di primo livello (once upon a time, semplicemente "media") "Andrea d'Isernia". Riporto qui quello che ho scritto per l'introduzione.

«Come direttore della Biblioteca comunale “Michele Romano” sono stato coinvolto da principio nell’encomiabile progetto che ha portato alla stampa di questo volume. Ho partecipato a più incontri con le classi, a scuola, vissuti da parte mia con una punta di comprensibile emozione: tornavo nelle stesse aule che avevo frequentato da studente, e questa volta in cattedra, come mio padre, professore d’italiano all’ “Andrea d’Isernia” per quasi trent’anni. Un certo imbarazzo nel salire sulla pedana: la Reazione di Isernia era materia che coltivavo da poco tempo. Sostenendomi sui documenti, testimonianze, carte d’archivio, ho raccontato ai ragazzi il succo di letture recenti, fatte per mia – prima ancora che per loro – curiosità, trovando estremamente singolare quanto accaduto a Isernia in quell’autunno di centocinquanta anni fa, così denso di avvenimenti e tanto significativi da alzarne il rilievo dal livello della povera storia patria a quello della Storia tout court. Felicemente sorpreso dall’attenzione che accompagnava le mie parole, ho rilevato nei ragazzi un interesse autentico, non – o, almeno, non soltanto – finalizzato al credito spendibile per lo scrutinio di fine anno.
I documenti, le testimonianze, le carte d’archivio sono quelli tratti in massima parte dalla Biblioteca: la “Michele Romano” è il luogo di conservazione della memoria storica cittadina, questo per antonomasia; ha tra i suoi compiti istituzionali la raccolta, l’organizzazione e la diffusione di tutte le informazioni relative al territorio e alla sua storia e assolve tale funzione rendendo fruibili al pubblico le sue ricche collezioni documentali: oltre ad avere una sezione bibliografica sul Molise pressoché completa, la Biblioteca è sede dell’Archivio storico comunale e ospita il rilevante Archivio privato della famiglia d’Apollonio. Per limitarci al 1860, qui si conservano le carte della famiglia Jadopi, con la corrispondenza originale tra don Stefano e il Comitato unitario di Napoli, così come i vari autografi che il liberale isernino inviò nell’affannosa ricerca dei suoi congiunti, riparati a Roma; La Colonna De Luca, il resoconto critico – vero atto di accusa di personaggi altrove sempre e solo incensati – di un anonimo protagonista della spedizione che il Governatore di Molise mosse verso la città insorta; la copia del diario di Domizio Tagliaferri, garibaldino molisano, scampato agli eccidi che investirono le Camicie rosse della Colonna Nullo; gli atti istitutivi dell’Ospedale militare in Santa Maria delle Grazie, che ospitò i feriti del Macerone, e tutto il successivo carteggio tra il municipio e la nuova, più lontana capitale.
Da custode del tesoro so, però, che questi fogli hanno davvero un valore – diverso da quello meramente antiquario – solo se letti; e quando a mostrarsi interessato a queste carte, quando a chiedere di aprire l’archivio è il ragazzo di scuola media, e la sua curiosità sincera, c’è in chi scioglie i nodi del faldone un motivo di maggiore soddisfazione.
I documenti vanno letti, compresi, confrontati con l’attualità. Se il racconto raccapricciante di teste infitte su pali separa nettamente la nostra esperienza quotidiana da quegli anni, spingendo il 1860 verso la cruenza di certo oleografico Medioevo, una delibera del Consiglio municipale del gennaio 1861 può sorprenderci mostrando quanto poca sia stata, in altre direzioni, la distanza percorsa in un secolo e mezzo. Vanno letti, annusati, guardati in controluce. Mai come per la storia del Risorgimento italiano – e della Reazione avvenuta in Isernia nell’autunno del 1860 – è opportuno confrontarsi con le fonti. Quegli anni (e quei giorni) ci sono stati raccontati sempre secondo il consolidato schema adottato dalla storiografia dei vincitori, che vuole tutto il male confinato nel campo duosiciliano di cafoni e gendarmi; tutto il bene – puri ideali e atti d’eroismo – nel campo italiano di liberali e garibaldini. Più di un manuale scolastico continua ad alimentare la favola bella delle mille Camicie rosse che da sole sgretolano un regno straniero. Le fonti mostrano una realtà più complessa. Già i contemporanei – i citati Tagliaferri, l’Anonimo de La Colonna De Luca – ci parlano di un Risorgimento frastagliato, dove accanto a eroismi e ideale di patria, coesistono malafede, incapacità, vigliaccherie e bassezze morali. Credo faccia bene anche al giubileo laico del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia non riperpetuare luoghi comuni, retorica e edulcorazioni alla De Amicis. Del resto, alimentare il pensiero critico, in ragazzi di tredici, quattordici anni, stimolandone la capacità di interpretazione e ricostruzione della realtà nella sua complessità, ritengo debba essere uno degli obiettivi principali della scuola (non soltanto) media. »