Prima che si mobilitino Giacobbo ed emuli cazzari con sindoni, graal e bafometti, occorre chiarire che per la storia di San Giacomo del Tempio di Isernia, commenda urbana dei Cavalieri Templari della primissima metà del XIII secolo (forse), l'unico mistero templare da chiarire e se sia davvero esistita.
Partiamo dal certo, e facciamo un lungo salto in avanti. La descrizione di quella che era la chiesa di San Giacomo alla metà del XVIII secolo la dà il notaro Carlucci in un documento del 1745: nel fare l’inventario dei beni che, in Isernia, s’appartengono alla «Venerabile Commenda di San Gio: di questa Città di Isernia», il notaio si reca a visionare i due stabilimenti che la compongono: quello, eponimo, di San Giovanni Battista (sito «fuori le mura, dove si dice la Fiera», cioè dalle parti dell’attuale Parco della Rimembranza) e l’altro, subalterno, di San Giacomo. Il documento - che dovrebbe essere conservato presso l'Archivio Capitolare della Cattedrale - è riportato integralmente da Ermanno Turco nel suo «Isernia in cinque secoli di storia», edito a Napoli nel 1948 e di recente ristampato anastaticamente.
Dice Carlucci attraverso Turco: «Personalmente ci semo conferiti nel Palazzino di questa Ven.le Commenda (...) chiamato vulgarmente S. Giacomo ed è sito dentro questa città d’Isernia, e tra le due parrocchie di S. Maria e S. Elena». Precisa è l’indicazione dell’ingresso del Palazzino de’ Signori Commendatori, «il portone del quale è di rimpetto al vicolo che conduce a S. Angelo, ora S. Giuseppe»; questo immette in un «cortile non molto largo e ad un canto di questo cortile, e proprio a sinistra nell'entrare, vi è pozzetto col jus dell'acqua, la quale riceve dalla condottiera, seu viale dell'acqua della città.» Superato il piccolo cortile si accede alla chiesa «racchiusa e posta nel recinto e clausura di detto Palazzino». Dalla via principale, aperto il portone che immette nel piccolo cortile, si sarebbe vista la porta a doppia battuta di San Giacomo: «ha ella la sua porta per linea diretta al portone predetto». Il notaio procede poi in modo un po’ confuso, alternando punti di vista all’interno e di nuovo all’esterno dell’immobile: «È ella di grandezza capace, così pure nell'altura; nel fondo di essa vi è l’Altare con il suo quadro pittato al muro con l’Effige di Nostra Signora e Bambino Giesù nelle braccia; posta tra S. Gio: Battista a destra e S. Giacomo Apostolo a sinistra, nel di cui altare vi è un dosello di legno pittato (...) Il pavimento di detta chiesa è astrico ben battuto e polito; dietro la porta, a destra nell’entrare, vi è una colonnetta di pietra ben lavorata e sopra di essa la fonte dell’acqua benedetta. Vi è la sua campana ben corrispondente alla chiesa ed è posta in un archetto di fabbrica, che sta nella punta della facciata d’avanti, corrispondente alla porta, la quale è ben foderata e lavorata ed apre a due».
Se questa è la descrizione della San Giacomo melitense del XVIII secolo, conoscendo la vicenda successoria che ha portato i beni dei Cavalieri Templari, dopo lo scioglimento cruento del 1312, a giungere agli Ospitalieri e da questi ai Cavalieri di Malta, e dando fede a quell'unica fonte - Archivio Segreto Vaticano, Instrumenta miscellanea, ms. Latino 2780; documento citato da Loredana Imperio, San Giacomo del Tempio di Isernia, in Atti del VII Convegno di Ricerche Templari a cura della L.A.R.T.I., Latina, 1991, p. 40 - che, nel 1373, ci parla di uno stabilimento degli Ospitalieri «un tempo commenda templare», è più che legitttimo ritenere che la commenda descritta dal Carlucci nel 1745 sia nello stesso luogo – e, plausibilmente, abbia anche sostanziale dimensione e composizione – della originaria, asserita precettoria templare di San Giacomo.
Per adesso, basti sapere questo.
Nessun commento:
Posta un commento