giovedì 3 febbraio 2011

Templari a Isernia. 1745, 1373

Prima che si mobilitino Giacobbo ed emuli cazzari con sindoni, graal e bafometti, occorre chiarire che per la storia di San Giacomo del Tempio di Isernia, commenda urbana dei Cavalieri Templari della primissima metà del XIII secolo (forse), l'unico mistero templare da chiarire e se sia davvero esistita.
Partiamo dal certo, e facciamo un lungo salto in avanti. La descrizione di quella che era la chiesa di San Giacomo alla metà del XVIII secolo la dà il notaro Carlucci in un do­cumento del 1745: nel fare l’inventario dei beni che, in Isernia, s’appartengono alla «Venerabile Com­menda di San Gio: di questa Città di Isernia», il notaio si reca a visionare i due stabilimenti che la compongono: quello, epo­nimo, di San Giovanni Batti­sta (sito «fuori le mura, dove si dice la Fiera», cioè dalle parti del­l’attuale Parco della Rimembranza) e l’altro, subalterno, di San Giacomo. Il documento - che dovrebbe essere conservato presso l'Archivio Capitolare della Cattedrale - è riportato integralmente da Ermanno Turco nel suo «Isernia in cinque secoli di storia», edito a Napoli nel 1948 e di recente ristampato anastaticamente.
Dice Carlucci attraverso Turco:
«Personalmente ci semo conferiti nel Palazzino di questa Ven.le Commen­da (...) chiamato vulgarmente S. Giacomo ed è sito dentro questa città d’I­sernia, e tra le due parroc­chie di S. Maria e S. Elena». Precisa è l’indicazione dell’ingresso del Palazzino de’ Signori Commenda­tori, «il portone del quale è di rim­petto al vicolo che conduce a S. Angelo, ora S. Giuseppe»; questo im­mette in un «cortile non molto largo e ad un canto di questo cortile, e proprio a sinistra nell'entrare, vi è pozzetto col jus dell'acqua, la quale riceve dalla condottiera, seu viale dell'acqua della città.» Superato il piccolo cortile si accede alla chiesa «racchiusa e posta nel recinto e clausura di detto Pa­lazzino». Dalla via principale, aperto il portone che immette nel piccolo cortile, si sarebbe vista la por­ta a doppia battuta di San Giacomo: «ha ella la sua porta per linea diretta al portone predetto». Il notaio procede poi in modo un po’ confuso, alternando punti di vista al­l’interno e di nuovo all’esterno dell’immobile: «È ella di gran­dezza capa­ce, così pure nell'altu­ra; nel fondo di essa vi è l’Altare con il suo quadro pittato al muro con l’Effige di Nostra Signora e Bambino Giesù nelle braccia; posta tra S. Gio: Battista a destra e S. Giacomo Apostolo a sini­stra, nel di cui altare vi è un dosello di legno pittato (...) Il pavimento di detta chiesa è astrico ben battuto e polito; dietro la porta, a destra nel­l’entrare, vi è una colonnetta di pietra ben lavorata e sopra di essa la fon­te dell’ac­qua benedetta. Vi è la sua campana ben corrispondente alla chiesa ed è posta in un archetto di fabbrica, che sta nella punta della fac­ciata d’avanti, corrispondente alla porta, la quale è ben foderata e lavora­ta ed apre a due».

Se questa è la descrizione della San Giacomo melitense del XVIII secolo, conoscendo la vicenda successoria che ha portato i beni dei Cavalieri Templari, dopo lo scioglimento cruento del 1312, a giungere agli Ospitalieri e da questi ai Cavalieri di Malta, e dando fede a quell'unica fonte -
Archivio Segreto Vaticano, Instrumenta miscellanea, ms. Latino 2780; documento citato da Loredana Impe­rio, San Giacomo del Tempio di Iser­nia, in Atti del VII Convegno di Ricerche Templari a cura della L.A.R.T.I., Latina, 1991, p. 40 - che, nel 1373, ci parla di uno stabilimento degli Ospitalieri «un tempo commenda templare», è più che legitttimo ritenere che la commenda descritta dal Carlucci nel 1745 sia nello stes­so luogo – e, plausibilmente, abbia anche so­stanziale di­mensione e composizione – della originaria, asserita precettoria tem­plare di San Giacomo.
Per adesso, basti sapere questo.


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