Relazione
del giudice Giuseppe di Giuseppe sui fatti di Carpinone nel 1860 – Alla Sezione di accusa presso la Corte di Appello di Napoli
«Appena pubblicato da Francesco II di Borbone l’atto sovrano, 29 giugno 1860, col quale chiamava in vigore lo Statuto di Re Ferdinando II del 1848, in Carpinone la voce che quello avrebbe avuto poca durata perché era stato consigliato, non da generosità di principe ma da paura, trovò disposizioni favorevoli a perversi intendimenti dei Sanfedisti. Imperocché nel seguente luglio dello stesso anno 1860 pubblicamente si vociferava che quello Statuto, ripristinato per violenza, sarebbe stato abolito, né mancava chi pubblicamente andava insinuando doversi sopprimere la Guardia Nazionale ed il novello Corpo municipale, doversi restaurare l’assolutismo, con voci e insinuazioni che nel corso di quel mese produssero popolari tumulti, i quali andarono ogni dì più che l’altro, crescendo di intensità. Nel 19 agosto dell’anno medesimo un tal Giuseppe Tamasi, girando pel paese, gridava: Viva Franceschiello! Oggi deve venire Franceschiello! Oggi vedremo se viene Franceschiello! ed alzava un faschetto di vino libando alle orgie future. Il tumulto cominciò; la Guardia Nazionale, quantunque provvista di armi, dové chiudersi nella Caserma, ove le autorità locali vennero investite e bloccate con lancio di pietre e con colpi di archibugio, per tutto il corso della notte, finché i rinchiusi non si salvarono forando un muro, “una porta murata” per riparare nella casa del canonico Iamurri. Gli eccessi si avvicendarono finché non giunsero alle proporzioni di un attentato contro il Governo sui cennati fatti dell’agosto 1860. Ma tali fatti erano forieri di quelli atroci eccidi che nei mesi posteriori insanguinarono Isernia e i circostanti municipii. La sera del 30 settembre 1860 in quella città, capoluogo di circondario scoppiò il primo grido della reazione borbonica. Nello stesso tempo un cupo fremito di popolo incominciò a serpeggiare per le vie di Carpinone, i liberali presentivano la procella. Un Giovanni Tamasi di Salvatore, con altri congiunti, aggredì il posto di Guardia Nazionale, ordinando in nome di Francesco II che tutti si armassero per proclamare e festeggiare il ritorno [del re], intimare lo sterminio ai galantuomini e le masse, poi, insorte organizzavano una rpocessione per onorare le effigie di Francesco II e Maria Sofia. Un mastro Pietro Venditti si fece in quella sera e nei giorni successivi il cerimoniere di quelle orgie invereconde, avvegnacché, innalzato un altare in mezzo a largo Croce, esponeva alla venerazione quell’effigie, alle quali col turibolo dava l’incenso; ed onde apparisse chiaro il concetto di quei baccanali, lo stesso cerimoniere erasi provveduto di una quantità di budella d’agnello, e quelle mostrando diceva: «A canne si debbono vendere, come queste, le budella dei liberali». E quasi non bastassero tali eccitamenti vi si aggiungeva la danza, i ribelli vi si atteggiavano a cannibali accennando a stragi e saccheggi.
La cosa pubblica era a discrezione degli insorti capitanati da Giovanni Tamasi e per ordine suo fu fatta la requisizione di armi nelle case dei galantuomini furono perciò disarmati, fra gli altri, i signori D. Giovanni De Simone, Emilio Di Blasio, Nicolangelo Sassi, Costanzo Petrunti, Giacinto Carnevale, D. Gabriele Venditti fu Gaetano.
Da Isernia intanto arrivavano ordini peri quali si nominava il nuovo Sindaco, il Primo Eletto, il Capo Urbano, né mancò Michele Martella Vacca che assunse le funzioni di giudice. Al disarmo dovevano seguire atti di violenza, e quelli s’iniziarono la notte del 3 ottobre, quando furono strappati dai domestici lari i signori Costanzo Petrunti, Saverio Di Blasio, Saverio Antenucci, Domenico Ciccone, i giovani figli di Gennaro Ciccone, Vincenzo e Federico, Francesco De Dominicis, Fiorangelo Tamasi e altri. Condotti alla caserma per essere spediti a Isernia deliberavansi se dovessero andarvilegati o liberi e partirono, travagliati lungo la via da sevizie, minacciati tratto tratto di morte, fino a che non furono rinchiusi nelle carceri d’Isernia ove trovarono salvezza all’arrivo del Governatore De Luca il giorno 4 del mese di ottobre. L’ottuagenario canonico signor Giuseppe Guerra, narrava con l’eloquenza d’un martire, tutta la sua lunga serie di spasmi che ebbero a soffrire, dalla sera del 4 ottobre quando, infermo di gotta fu costretto a fuggire perché requisito dai rivoltosi, errando di tugurio in tugurio, il più delle volte respinto brutalmente finché non cadde il giorno 5 negli artigli di quelle belve che il trassero in Isernia donde passò a Gaeta su di un carretto. Alle famiglie degli arrestati, si ripetevano richieste di danari e viveri e il giorno 6 fu aggredita e saccheggiata al casa del signor Gennaro Ciccone, commettendovi depredazioni d’oggetti oltre a ducati 2000 ed incendiando tutte le carte di famiglia. La reazione intanto seguiva il suo corso in Isernia con varie vicende. Caduta dopo il 5 ottobre in potere delle solfatesche borboniche il suo destino dipendeva dagli eventi delle armi. La legione condotta dall’intrepido colonnello Nullo era il 17 ottobre battuta in Pettorano dai Borbonici. I prodi del generale Garibaldi, dispersi per le campagne cercarono raggiungere i loro fratelli d’arme, ma quasi tutti caddero vittime di quei feroci ribelli che non pugnavano, ma da vili uccidevano uomini inermi e sperduti in luoghi ad essi ignoti. In quest’opera si distinsero i reazionarii di Carpinone. All’alba del 18 ottobre di posero alla caccia. Tre di essi avevano arrestati cinque garibaldini, ma sotto le mura di Carpinone due furono uccisi a colpi d’arma da fuoco, gli altri e tre furono trucidati con scure e pali. Ne giungevano altri due e ottenevano lo stesso destino. Più tardi arrivavano altri diciotto prigionieri, quattordici furono trucidati barbaramente, derubati, cacciati in un fosso; altri quattro furono salvi per l’opera di un gendarme. (Chi? Se ne ignora il nome). Più tardi giungevano altri sette garibaldini e furono tutti e sette immolati da quei feroci i quali non si arrestarono ad inferire colpi sui cadaveri. Così, con lo scempio di ventotto difensori della Patria rimaneva non estinta la fama di quei cannibali carpinonesi, ma altre vittime mancarono. »
La Corte di appello di Napoli, sezione d’accusa, nel 9 luglio del 1863, sul processo compilato dal giudice del Mandamento di Carpinone, sig. Giuseppe di Giuseppe, ben 145 individui, imputati indistintamente per distruzione del Governo costituzionale proclamato il 25 luglio 1860; di eccitamento alla guerra civile fra gli abitanti di una stessa popolazione armandoli ed invitandoli ad armarsi, gli uno contro gli altri; di devastazione, stragi e saccheggio contro un classe di cittadini, con omicidio di 48 garibaldini, rinviava dinanzi alla Corte d’Assise di Campobasso. Gli accusati furono 84; i testimoni 177.
[Tratto da: Pietro Valente, Il 1860 a Isernia, Pettoranello e Carpinone - Notizie storiche, inedito. Copia in manoscritto di Erminia Testa [1932]; Pietro Valente (Carpinone, 3.6.1862 – 15.1.1938), più volte sindaco di Carpinone e consigliere provinciale, nel periodo a cavallo fra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, fu il promotore di iniziative e opere pubbliche, costruzione dell’acquedotto, della ferrovia, del cimitero, della fognatura, dell’impianto di illuminazione pubblica con energia elettrica. A Pietro Valente è intitolato l'edificio scolastico di Carpinone.]
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