Colonel Maceroni |
Torniamo a parlare del grande terremoto del 1805 attraverso
la testimonianza – credo, ad oggi, inedita – del colonnello di cavalleria
Francis Maceroni (Manchester, 1788 -
Londra 1846), aiutante di campo di Gioacchino Murat durante le guerre
napoleoniche e uomo di corte quando il francese divenne re di Napoli. Maceroni (in
altre versioni, traslitterato in Macirone) è personaggio misconosciuto in Italia
(tanto per dire: manca una pagina wikipedia a suo nome nella lingua di Dante);
è stato soldato, diplomatico, esperto mongolfierista e inventore di una
locomotiva che porta il suo nome (“Maceroni
Steam Carriage”), nonché autore delle autocelebrative «Memoirs
of the life and adventures of colonel Maceroni», edite in due volumi dal quasi omonimo
John Macrone in Londra, nel 1838.
Maceroni Steam Carriage |
Maceroni – di pessima memoria? – anticipa al 16 luglio 1804
(anziché, sappiamo, il 25 luglio 1805) il grande sisma molisano: si trovava
allora ospite di un tale Bottalin che aveva una villa a Mergellina, diving and rowing and fishing lungo i grandi scogli lavici di capo
Posillipo, quando avvertì onde anomale tra le onde e grida lontane: Terremoto! Terremoto!. Descrive poi
quadri molto napoletani di gente come un fiume che esce da ogni casa e
trasporta materassi e cuscini sulla spiaggia in accampamenti di fortuna o segue frati in processioni improvvisate, with tinkling bells and crying of
lamentations.
Non un testimone oculare, quindi, dei rovinosi effetti che
il sisma ebbe in terra di Molise: Macironi è nella capitale e non nella
provincia colpita; riporta notizie riferite da altri, dai gazzettieri, mercanti
e uomini di corte, ma le riporta.
Colloca l’epicentro in Frosolone; disegna un
cratere di 61 borghi tra Isernia e Jelsi, abitato da circa cinquantamila
persone. Di tutti questi paesi – ci dice – solo due, San Giovanni in Galdo e
Castropignano, sebbene situati ai piedi del Matese, sono rimasti privi di danni
considerevoli. Intorno a seimila i morti, numeri che ripropongono il grande
terremoto calabro del 1783.
Memoirs of the life and adventures of colonel Maceroni, p. 142 |
Particolare la manifestazione degli effetti del sisma a Isernia (pag. 142): «Questa città è estesa poco più di un miglio in lunghezza, ma come accade per Brentford o altre città inglesi , la sua ampiezza si risolve in due file di case, sui due lati del corso. Ebbene, la fila di case a est della strada è interamente crollata, quelle a ovest, invece, sono rimaste in piedi.»
Qui Maceroni pare
reinterpretare in senso est-ovest la reale distribuzione dei crolli che – a
giudicare dalla nota mappa di Luigi Marchese – è piuttosto da orientare in
senso nord-sud, con la parte alta dell’abitato storico completamente distrutta
e la parte a sud della Cattedrale a subire pochi danni dal sisma. Continua,
attingendo probabilmente a Giuseppe Saverio Paoli e alla sua Memoria sul tremuoto de' 26 luglio del
corrente anno 1805, edita a Napoli nel 1806: «La terra si ruppe in ogni direzione, creando qua e là vaste lacerazioni
e forre. Dalle fenditure del terreno si levavano lingue di fuoco e scariche
elettriche; e oltre la sommità del Monte Frosolone, una luce come fosse una
rifulgente meteora fu visibile per lungo tempo. Nella mattina del giorno
fatale, gli abitanti ebbero tutti a sentire una sensazione di straordinaria
spossatezza, e si diffuse un fetore come di zolfo, disgustoso e malsano. Alle
quattro del pomeriggio il cielo si coprì, e le nuvole si diffusero in tutte le
direzioni con la velocità tipica degli uragani, sebbene nessun soffio d’ara
fosse percepibile a terra. Ma al tramonto iniziò a soffiare da nord un vento
furioso, che subito cessò, come se fosse stato fermato dalle profonde
esplosioni che si sprigionavano sottoterra, precorritrici e accompagnatrici del
terremoto. La prima scossa fu leggera,
così tanto che solo in pochi se la avvertirono. Altre vennero dopo poco e per venti secondi si susseguirono le une
alle altre con terribile violenza.»
Un’ultima nota di colore chiude la narrazione del terremoto: «In un paese chiamato Guardia Regia (sic), vicino Bojano, una bella e giovane ragazza di diciannove anni chiamata Marianna di Franceschi è rimasta sepolta viva per dieci giorni e otto ore. All'inizio, si ebbero deboli speranze, ma le amorevoli cure dei suoi medici fecero il miracolo: si ebbe un pieno recupero, nel corpo e spirito, presto si sposò e nel 1807 la vidi a Napoli, madre felice di due bei bimbi».
(L'originale è qui, alle pagg. 141/143; mia è la - libera - traduzione dall'inglese)
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