Isernia e Celestino è relazione che va esplorata - e mi accorgo che non era stato fatto prima sulle pagine virtuali di questo blog - anche con riferimento alle fondazioni monastiche cittadine: parlo dei due monasteri di S. Spirito e di S. Pietro Celestino, che, sebbene sorti in epoche diverse, hanno avuto uguale sorte nel corso del secolo scorso e persistono, come memoria, ormai solo in vecchie foto bianco e nero, o nei disegni dell'ultimo decennio dell' 800 che ci ha lasciato - preziosa testimonianza - Cesare De Leonardis. Parleremo poi di altri edifici di culto cittadini comunque legati a Pietro del Morrone: la Chiesa dell'Immacolata Concezione, Santa Maria della Sanità e la cappella di S. Spirito.
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| Resti del monastero di S. Spirito |
S. Spirito
Nella Bolla di
confermazione dell'Ordine di S. Spirito de Maiella data da Gregorio X
il 22 marzo del 1275 (bolla con cui si stabilisce che i monaci di Pietro
seguano la Regola benedettina e, per questo,
possano mantenersi come congregazione superando il divieto conciliare del
Laterano IV di istituzione di nuovi ordini religiosi) è presente
l'elencazione di tutti le chiese, allora esistenti, appartenenti all'Ordine;
tra di esse troviamo S. Spirito di Isernia. Il monastero isernino è di
recentissima istituzione poiché l'atto di donazione con cui lo iudex isernino Filippo Benvenuti,
unitamente a Glorietta sua moglie, beneficia Fra Placido, procuratore della
chiesa di S. Spirito della Maiella, di una «vinea
infra fines civitatis Isernie a parte orientis in loco ubi Pons de Arcu dicitur»
perché lì venga edificata una chiesa, è del 10 ottobre 1272; dalla bolla
lionese sono passati neanche tre anni. L'indicazione geografica (pars orientis e Pons de arcu) è quantomai precisa: il
declivio sul quale sorgerà il monastero è, appunto, posto a est dell'abitato di
Isernia e degrada verso il corso del fiume Carpino (Gianocanense, in antiquo), a superare il quale - anche
allora - doveva esserci un pons de
arcu. Oggi tutta la zona, non a caso, prende il nome di Santo Spirito.
L'atto di donazione di Filippo e Glorietta
è nel Fondo archivistico di S. Spirito presente presso l'Abbazia di
Montecassino (tutte le carte del monastero celestino, con la soppressione
dell’Ordine del 1807 e il successivo Concordato del 1818, vennero versate in
quell'archivio; vedi Faustino Avagliano, Le più antiche carte di S. Spirito d’Isernia nell’Archivio di
Montecassino, 1971). La donazione attribuisce patente di falso
grossolano a ciò che afferma invece il nostro Gio: Vincenzo Ciarlanti quando
scrive nelle sue Memorie historiche che
il monastero di S. Spirito di Isernia è stato edificato su terreno di
Angelerio, padre di Pietro. Falso grossolano perché ingenuo: non
credo ad una perfidia del primicerio isernino a voler precostituire una prova
che leghi Pietro ad Isernia, quanto piuttosto a un tributo pagato alla
tradizione, alla voce popolare: se in città si diceva così, allora era
vero.
Piuttosto, una particolare preminenza della chiesa isernina all'interno dell'Ordine morronense - e, per deduzione, indizio di un favor di Celestino verso Isernia sua patria - è provata da una notizia data nella tesi di dottorato di Adolfo Morizio (discussa nel 2008 all' Università di Padova e, per fortuna, disponibile per la consultazione): papa Benedetto XI - il cui pontificato (1303-1304) segue quello di Bonifacio VIII - decretò che il priore del monastero isernino, unico insieme con quelli di Santa Maria di Collemaggio e di Santo Spirito a Maiella (come a dire: le due fondazioni celestiniane più importanti), dovesse annualmente visitare l'Abate generale dell'Ordine in Santo Spirito al Morrone. Tanto in un periodo in cui i monaci di Pietro si erano già insediati a Roma (con San Pietro in Montorio e S. Eusebio all'Esquilino). Isernia più importante delle sedi romane, quindi.
Inoltre, dalla lettura dell'Autobiografia (Vita sanctissimi patris fratris Petri de Murrone seu Celestini pape quinti. In primis
tractatus de vita sua quam ipse propria manu scripsit et in cella sua reliquiddi), veniamo a conoscere che solo per quattro fondazioni dell'Ordine i lavori furono seguiti direttamente, in presenza, da Pietro: S. Spirito della Maiella, S. Maria del Morrone (poi divenuta S Spirito del Morrone, casa generalizia), S. Antonio a Ferentino e, appunto, S. Spirito di Isernia.
Dalle fonti sappiamo che il vescovo Matteo, nel settembre del 1276, rilascia ai monaci l'esenzione dalla giurisdizione episcopale per la loro chiesa – qui e in altre carte di Montecassino indicata come «S. Spiritus de novo constructa in civitate Ysernia». Il documento è noto anche perché viene citato, a sproposito, come asserita prova dei natali isernini di Pietro: tuttavia, pur rivolgendosi a lui direttamente, il vescovo Matteo non prepone alcun concittadino nè dà nel testo altra utile indicazione sulle origini del monaco. Importante, per la verità, il documento lo è per altri versi: è il primo noto per aver concesso ai monaci di Pietro l'esenzione episcopale; recepisce inoltre la novità circa l'uso della Regola benedettina (si indica infatti la chiesa di Santo Spirito come appartenente all'Ordine di S. Benedetto). Ma che significa esenzione episcopale? Va considerato che la proliferazione degli ordini monastici nel Medio Evo generò diversi contrasti con il clero diocesano: i corpo dei fedeli era un dato finito e se seguiva (con donazioni, omaggi, considerazione) i nuovi monaci, distraeva le sue attenzioni dal clero secolare. Quindi, con difficoltà i vescovi riconoscevano queste limitazioni di giurisdizione verso gli appartenenti ad un ordine religioso che insistevano sul territorio diocesano. Il privilegium exceptionis del vescovo esenta dunque i monaci di S. Spirito «ab omni episcopali iure et cuiuslibet obligatione conditionis tam in temporalibus quam in spiritualibus»: il presule isernino rinuncia all'esercizio di ogni potere gerarchico, disciplinare; non può scomunicare o interdire i Maiellesi o anche semplicemente convocarli presso di lui. Tuttavia, Matteo conserva - e ciò è più importante - alcuni diritti di natura economica: mantiene gelosamente il diritto a percepire decime sulle sepolture accettate nella chiesa di S. Spirito (il c.d. ius eligendi sepulchrum), così come sulle donazioni verso la stessa effettuate; in più l'esenzione dalla giurisdizione episcopale è riconosciuta verso il pagamento, a titolo di pensionis vel census, di una libbra di cera da versarsi annualmente alla mensa vescovile nel giorno della festa di S. Pietro (Apostolo). Come a dire: tenetevi pure la vostra autonomia, basta che paghiate quel che c'è da pagare. Il privilegium del vescovo Matteo, unitamente a quelli che seguiranno da parte degli altri vescovi di Chieti, L'Aquila e Trivento, verrà ratificato ufficialmente da papa Nicolò IV, con la Debite providentiae del 20 febbraio 1291, che sottoporrà direttamente sotto la giurisdizione del vescovo di Roma («in ius et proprietatem beati Petri et Apostolice sedis») i fratres dell'Ordine morronense, riconoscendo in perpetuo l'esenzione dalle giurisidizioni episcopali. Morto Nicolò IV da lì a poco, sarà poi Pietro a diventare papa come Celestino V e il suo Ordine diverrà ancora più potente.
Il fondo archivistico di S. Spirito conservato a Montecassino, riferito agli anni che vanno dal 1274 al 1299, è costituito da 43 documenti. Sono per lo più atti di donazione o di compravendita che, in città, accrescono la potenza dell'Ordine (e creano, come visto, risentimento nel clero secolare). Diamo indicazione delle più vicine alla fondazione, rimettendo per la restante parte all’opuscolo di don Faustino Avagliano (Le più antiche carte ... di cui sopra).
| Le rovine del monastero in un disegno di Cesare de Leonardis (ca. 1890). La didascalia riporta: «diruto casino della nobile e ricchissima famiglia Maselli» |
La carta n. 1 è quella della donazione del giudice Filippo Benvenuti, che ritroviamo anche nel successivo documento indicato nel regesto al n. 5: il 18 febbraio 1280, i coniugi Benvenuti donano alla chiesa di S. Spirito «alcune case con orto contiguo nel quale la detta chiesa è costruita, site nella parte orientale della città, una casa con orto nella parrocchia della chiesa di S. Maria del Vicinato, e una vigna in località Plana, con il consenso e la volontà del vescovo Matteo e dei canonici del capitolo cattedrale»; è particolare la sensibilità mostrata da Filippo e Glorietta verso i monaci celestini: non sappiamo di eventuali donazioni effettuate a beneficio anche degli altri ordini monastici presenti in città (è del 1267 la fondazione del Convento dei Frati Minori di S. Francesco) o verso il clero secolare, ma certamente in pochi anni effettuano consistenti donazioni pro anima e il giudice Benvenuti lo troviamo anche come procuratore della chiesa in altri atti di donazione o compravendita nell’interesse del monastero di S. Spirito (per es. nella carta n. 10). Dal punto di vista dei beni che vengono donati, molte sono le vigne (e quasi tutte in prossimità del monastero); il 7 aprile del 1276 è Mercurio, nato ed abitante in Isernia, figlio del giudice Ruggero, a donare pro anima una vigna in località Pons de Arcu (carta n. 3). Una vinea in Pons de Arcu la cede pure Rainaldo Racca, però in vendita (n. 6). Il 16 maggio del 1274, Maria vedova di Domenico da S. Vito dona una vigna e due case nella parrocchia di San Michele (n. 2). Nel 1279, Giovanni, figlio del fu Fiore di Raimondo, entrando come novizio nel monastero di Santo Spirito di Isernia, dona allo stesso monastero la metà di una pezza di terra che aveva in città (n. 4). Nel 1280, il 26 giugno, «Altruda, vedova di Milizio, nata ed abitante ad Isernia, dona a Rinaldo da Montedimezzo, che riceve in nome e per conto della chiesa di S. Spirito della Maiella in Isernia, una casa sita nella parrocchia di S. Paolo, riservandosi per sé l’usufrutto vita natural durante; con la condizione che se sua figlia Todesca, alla sua morte, volesse riscattarla, dovrà pagare alla chiesa di S. Spirito ventidue tarì d’oro e dieci grani entro un anno dal giorno della morte; se invece dovesse morire prima la figlia, allora la casa rimanga senz’altro al monastero di S. Spirito (n. 9)». Va da sé, che le carte danno notizie preziose non solo su S. Spirito: p. es. la parrocchia di San Michele – ma ci torneremo poi – corrisponde ad una chiesa situata nella parte meridionale dell’abitato e attestata fino alla metà del 1600; San Paolo – più nota – è la chiesa che gemellava la cattedrale di San Pietro dall’altro lato dell’Arco di S. Pietro, nel luogo dove sarà edificato il Palazzo dei conti della Castagna e, quindi, il Seminario diocesano (1719).
In altro fondo archivistico - quello di S. Spirito del Morrone, sempre versato a Montecassino - troviamo notizia del 3 marzo 1291 riguardante la concessione in uso di un vigna prossima al monastero che Fra Nicola, priore di S. Spirito della Maiella in Isernia, fa a Dionigi da Sulmona, cittadino di Isernia, per un censuo annuo di una libbra di incenso. A rogare l’atto è il giudice Rampino (n. 190 del Regesto). Altro documento del 1304 – una vendita tra privati: il prete Pietro da Castropetroso e Roberto di Rainaldo – è per noi interessante perché riporta che la vinea oggetto del passaggio di proprietà si trova in Isernia in località Santo Spirito (n. 290). La presenza del monastero ha da allora in poi definito la zona suburbana che ancora oggi indichiamo con lo stesso nome. En passant, nel 1320 è priore del monastero isernino Pietro da Caramanico (lo veniamo a conoscere dalla lettura della carta n. 387).
La Fraterna e la chiesa dell' Immacolata Concezione
Nell'Archivio capitolare della Cattedrale di Isernia si conserva un antigrafo del XVI secolo che riproduce il testo della Bolla del vescovo Roberto (del 1 ottobre 1289) di riconoscimento dei capitula della Frataria laicale isernina (Capitula Fraternitatis Fratruum) istituita sotto l'egida di Pietro del Morrone («opera et labore religiosi viri») e - sia detto per inciso - prova regina delle origini isernine del santo, perché in essa - documento contemporaneo a Pietro - l'eremita del Morrone viene definito cittadino di questa città di Isernia. Qui ne parliamo non certo per riaprire la vexata quaestio su dove sia effettivamente nato San Pietro Celestino, ma perché legata alla Fraternitas isernina c'è un altro luogo di culto cittadino: la chiesa della Concezione.
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| Chiesa dell'Immacolata Concezione. Nell'ultima ristrutturazione sono state cancellate le superfetazioni anni '60 e sono state ripristinate le sobrie linee neoclassiche post terremoto del 1805 |
Procediamo con ordine. Nel Medioevo molte sono le confraternite laicali ispirate al vivere secondo religione e finalizzate principalmente a compiere opere di pietà, carità e assistenza. Gli ordini mendicanti (francescani e domenicani) spostano l'asticella e creano un un Terz'Ordine accettando sotto l'ombrello della congregazione un gruppo di laici che, pur rimanendo nel loro stato di vita secolare, si propongono e si impegnano a vivere secondo la spiritualità e le finalità di un ordine religioso.
Ci si interroga sull'esistenza di un Terz'Ordine morronese e, in seguito, celestiniano. Secondo Tommaso da Sulmona (discepolo di Pietro, autore della Vita C del santo), le confraternite legate ai Morronesi avrebbero avuto ampia diffusione in diverse città, arrivando a contare anche mille associati. Ma di tutte queste, la frataria o fraternitas di Isernia, è la sola di cui sia pervenuta notizia: sarebbe, pertanto, l'unica testimonianza di un asserito Terz'Ordine creato da Pietro.
A Isernia la Fraternitas ebbe assegnata dal vescovo Roberto la preesistente chiesa della Concezione, presso la Porta da Capo (dove la tradizione popolare vuole anche la casa di Pietro), e qui ebbe la sua sede. Come riferisce Ciarlanti, i confratelli istituirono due spedali per la cura degli ultimi, che nel 1364 vennero uniti da un ponte ad arco aggettante sul vicolo, «per poter governare ambidui i spedali et andare dall'uno all'altro senza uscire fuori alla strada».
Così la descrive l'ingegnere camerario Casimiro Vetromile venuto a Isernia nel 1744 per procedere all'apprezzo della città in vista del suo riscatto dalla feudalità:
«La detta chiesa risiede nella parte superiore dentro dell’abitato di detta Città di rincontro la porta detta da Capo della medesima e consiste a fronte della strada principale in una porta quadra, che dà l’ingresso a detta chiesa, la quale contiene una nave coverta con suffitta di legname, mattonata nel suolo. Nel lato a destra entrando vi è cappella con altare di fabrica e cona di legname, sotto il titolo di S. Maria di Monte Carmelo e ne’ lato a sinistra vi è altra cappella, fondata col simile altare e cona col quadro di san Nicola. In testa vi è l’altare maggiore con custodia e dietro di esso vi è coro, con cona in testa di legname, con quadro dell’Immacolata Concezione, con porta corrispondente ad una sacrestia principiata e non compita. La detta chiesa tiene il campanile con due campane e scaletta di fabrica, per la quale si ascende all’orchestra di legname con organo e viene la medesima governata dall’Università. Tiene d’entrata annui ducati 150 in circa, siccome mi han detto, li quali si applicano per le sante messe, cere ed altro che occorre ad essa chiesa.»
La chiesa, come delineata da Vetromile, cessò bruscamente di esistere con il grande tremuoto del 26 luglio 1805. Sappiamo che la parte a nord dell'Arco di S. Pietro fu quella che maggiormente subì le distruzioni del sisma. Pasquale Fortini, nella sua cronaca sui danni del terremoto di S. Anna (Delle cause de' terremoti e dei loro effetti | Danni di quelli sofferti dalla città di Isernia fino a quello de' 26 luglio 1805), così riporta per la chiesa dell'Immacolata Concezione:
«La chiesa della santissima Concezione di giu patronato della città (...) l'è tutta a terra, esistono solamente due mura laterali, e quello a fondo, ma uno anche mal concio; la di lei sacrestia anche è devastata.»
Da Santo Spirito a S. Pietro Celestino
Torniamo ad occuparci di monasteri. Tanta ricchezza
fondiaria - testimoniata dai documenti dell'Archivio di Montecassino - non impedì, secoli dopo, che il monastero di Santo Spirito entrasse in crisi. La sua
collocazione esterna alle mura («fuora la città lontano da mezzo miglio»)
lo aveva, col tempo, penalizzato e «per non essere volenteri habitato da'
religiosi» ridotto «quasi tutto in ruina». Per questo, il priore
Giovanni Battista Romano avanzo alla città richiesta di un’area per edificare
un nuovo monastero. In data 8 febbraio 1623 il mastrogiurato e gli eletti
decisero di accogliere le richieste dei monaci e donare ai Celestini un largo
prossimo alla Porta da Piedi per l'edificazione di un nuovo monastero e
chiesa nella città «a spese della religione», facendo
richiesta al Consiglio Collaterale, in Napoli, di regio assenso alla cessione
(il virgolettato è tratto da questa istanza). Poiché l’area scelta per l’edificazione
comprendeva la chiesa di S. Michele, con la relativa parrocchia, occorreva un
ulteriore permesso: papa Urbano VIII (1623-1644) con suo rescritto autorizzò l’incorporazione
della precedente parrocchia (con i diritti che le pertengono) nella nuova
chiesa, intitolata a S. Pietro Celestino.
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| Il monastero di S. Pietro Celestino (in fondo), con la chiesa e, in primo piano, la fontana cd. "asso di coppe", realizzata a metà Ottocento |
La posa della prima pietra è del 5 marzo di quello stesso 1623; al 3 maggio, il priore dei Celestini, Giovanni Battista Romano, già abita nel nuovo complesso, anche se ancora cantiere. Il 20 agosto 1263 la chiesa viene benedetta e aperta al culto (si pensi, per confronto, ai tempi biblici di costruzione delle nostre scuole o ospedali, che durano decenni).
Nel 1627 il vecchio monastero di Santo Spirito, sebbene in ruina, è attestato infatti come dipendente dal priorato di S. Pietro Celestino di Isernia; ed in effetti, quando Giovan Vincenzo Ciarlanti parla incidentalmente del monastero, dicendo che 1288 ne fu priore Rainaldo di Rionegro, parla di una campana che questi fece costruire «che vi è anche al presente» quindi 1644 - «con la sua iscrittione».
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| Monastero di S. Pietro Celestino, lato sud |
Non conosciamo, invece, il momento in cui cessò il collegamento tra Santo Spirito e l'Ordine dei Celestini: è particolare che nella didascalia del disegno di Cesare De Leonardis, realizzato intorno al 1890, e che chiaramente si riferisce al monastero celestiniano, il sito venga rubricato come «Diruto casino della fu nobile e ricchissima Famiglia Maselli da Isernia, in contrada S. Spirito». Il rudere del monastero, alla fine dell' 800, era riconosciuto come casino della famiglia Maselli, perdendosi ogni collegamento con i monaci.
Il nuovo monastero e chiesa, intitolati a San Pietro Celestino, cento anni dopo saranno descritti da Vetromile (nell'Apprezzo) in questi termini:
«Risiede il monistero suddetto attaccato alla porta detta da Piedi
di detta città e proprio a sinistra entrando in essa. Consiste a fronte della
strada principale della medesima in due porte, per la prima si ha l’adito nel
chiostro di detto monistero da descriversi e per la seconda si entra nella
chiesa d’una nave coverta con suffitta di tavole depinta con quadro nel mezzo e
col suolo di mattoni. Nel lato a destra entrando vi sono due cappelle con
altari di fabrica e cone di legname. La prima sotto il titolo di S.
Benedetto, la seconda della S.ma Trinità. Nel lato a sinistra vi
sono due altre cappelle simili. La prima coll’altare di marmo e cona di stucco,
sotto il titolo della santissima Vergine e la seconda coll’altare di
fabrica e cona di legname sotto il titolo di san Pietro celestino, con statua
di legname di detto santo. In testa poi a detta chiesa vi è l’altare maggiore
di marmo con custodia di legname e dietro il medesimo il coro coverto a lamia
con sedili e spalliere di legname, con olchestro ed organo e porta, che dà
l’adito nella sagrestia coverta a lamia, col comodo del bancone, con stipi dove
si conservano le supellettili di detta chiesa. Tornando alla strada per l’altra
parte accennata di sopra si entra nel chiostro di due solo corridori e
giardinetto con fontana d’acqua perenne, in piano a quali corridori vi sono
vari bassi per comodo di esso monistero e da essi mediante scala di
fabrica si ascende in due dormitori, in piano de’ quali sono dieci celle, la
cocina e rifettorio ed anche il campanile con tre campane attaccato alla parte
di detta città. Qual monistero tiene di famiglia quattro sacerdoti e due
conversi. E per il di loro man tenimento [h]anno d’entrata annui ducati 400 in
circa siccome mi han riferito».
Il terremoto del 26 luglio 1805 non reca grandi guai al monastero: è nella parte della città che subisce minori danni, quella a sud dell'Arco di San Pietro. Resiste alle onde telluriche, ma nulla può il monastero contro i francesi. L'Ordine dei Celestini viene sciolto, al pari di altri, con la legge 13 febbraio 1807, emanata da Giuseppe Bonaparte; i beni delle congregazioni religiose vengono acquisite al Demanio. Quando ai Napoleonidi si sostituiranno i Borbone, non si ritornerà indietro: nel nuovo Regno delle Due Sicilie, l'ex monastero ospiterà la sede della Sottointendenza per il distretto di Isernia, uno dei tre della provincia Contado di Molise. Qui, infatti, si dirigerà la folla degli insorti il 30 settembre 1860, nel giorno dell'epifania della Reazione di Isernia (come altrove si è detto).
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| Il monastero di S. Pietro Celestino completamente distrutto per effetto delle mine tedesche |
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| La chiesa di S. Pietro Celestino, unica rimasta del complesso monastico |
Con il Regno d'Italia, l'ex monastero diviene caserma dei Reali Carabinieri, destinazione d'uso che manterrà fino al 1898 quando si sposteranno nella nuova sede di Palazzo Orlando, fuori dall'abitato storico. Nel 1943 l'ex monastero verrà minato dall'esercito tedesco per ostruire la strada sottostante al passaggio degli Alleati; di contro, la Chiesa di San Pietro Celestino si conserverà fino ai giorni nostri.
S. Maria della Sanità
Il discorso va completato con un accenno ad un diverso sito religioso, ancora presente come rudere nell'attualità (forse per poco altro tempo, vista la pressione che la città in espansione esercita sulle deboli reti da pollaio che ne delimitano i confini): sto parlando della chiesa di S. Maria della Sanità , posta alla prima curva della strada di collegamento tra la città di cemento, il cimitero e, più oltre, lo svincolo della tangenziale intitolato con l'eponimo Spirito Santo. Se occorre trattarne qui è perché molti ancora confondono la chiesa con il monastero e si riferiscono a questa (ai suoi resti) come ruderi di quello.
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| S. Maria della Sanità, situazione precedente alla Seconda Guerra Mondiale |
| S. Maria della Sanità nel disegno di Cesare de Leonardis (ca. 1890) |
Madonna della Sanità (o Madonna della Salute) è titolo mariano che si diffuse come predicato della Madonna a seguito della peste del 1630 (che colpì Nord e Centro Italia, non scendendo oltre Roma); nel Vicereame, la peste - probabilmente un diverso ceppo - colpì più tardi, nel 1656: a Isernia con esiti devastanti. In occasione della pandemia, seguendo l'esempio di Venezia (che iniziò l'edificazione di S. Maria della Salute nel 1631), diverse chiese furono intitolate alla Madonna che dà la salvezza.
Della nostra chiesa della Sanità parla Casimiro Vetromile nell'Apprezzo (lo abbiamo indicato sopra):
«E finalmente, oltre delle suddette chiese e monisteri, vi sono altre chiesole seu cappelle nelle quali si celebra la messa nei giorni festivi solamente. [...] S. Maria della Sanità, jus patronato della famiglia Maselli, da dietro di detto convento di Santa Maria delle Grazie, ed un'altra in appresso di S. Spirito fra le rovine dell'antico monistero edificato da S. Pietro Celestino cittadino di Isernia».
L'ingegnere camerario sta elencando le chiese minori ancora attive in città al 1744, tanto che vi si celebra messa nei giorni festivi. Oltre S. Maria della Sanità, c'è un'altra chiesa in appresso di S. Spirito, fra le sue rovine. Non può essere pertanto Santa Maria della Sanità la chiesa del cenobio dei Celestini che si incontra nelle fonti, quella - per intenderci - costruita sulla vinea di Filippo e Glorietta, l'oratorium vel ecclesia de novo constructum della bolla di esenzione del vescovo Matteo. Per inciso, Vetromile ci offre anche un'indicazione circa il perché alla fine dell' 800 i resti del monastero di S. Spirito venissero indicati come casino di campagna della famiglia Maselli: poiché avevano jus patronato sulla vicina chiesa della Sanità, è probabile che lì avessero proprietà su ampie porzioni di terreno; andrebbe trovato un atto di vendita del diruto monastero ai Maselli per chiudere il cerchio.
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| La chiesa della Sanità (a sin.) e i resti del Monastero (a des., sotto gli archi) |
Qual è la data di fondazione di S. Maria delle Sanità? Angelo Viti, nel suo Note di diplomatica ecclesiastica sulla Contea di Molise, del 1972, riferisce che tra le macerie della chiesa, parzialmente distrutta dalle bombe alleate del 1943, venne rinvenuta una lapide
«in pezzi, purtroppo il frammento indicante l'anno dell'erezione non fu trovato, comunque ricostruita diceva:
SPES MEA IN SANCTA / MARIA SANITATIS IOES ... VINCENTIUS VITI ISER.NIE / FVNDATOR AC PATRONUS / HVIVS ECCLESIE QUAM ET ... / AM ... DOTAVIT ANN... »
Viti, omonimo del fundator della chiesa, sulla base di una diversa epigrafe da lui individuata sul campanile della chiesa napoletana dei SS. Severino e Sossio, nella quale è citato un abbas Vin. Viti de Aeserniae nell'anno 1337 ritiene di poter stabilire in quegli anni la data fondazione anche di Santa Maria della Sanità, riconoscendo che - in ogni caso - la fondazione della piccola chiesa «deve essere posteriore a quella di S. Spirito anche perché nelle Rationes decimarum (...) l'elenco dell'anno 1309 nulla riporta».
| La lapide nel disegno di Cesare de Leonardis. Indicato l'anno di fondazione: 1634 |
A completare il puzzle con il pezzo mancante, è venuto in soccorso - dal passato - Cesare de Leonardis (vd. l'edizione de La storia di Isernia del Garrucci illustrata da Cesare de Leonardis, volume edito a cura di Manuela de Leonardis e di chi scrive, nel 2018); il notaio isernino, appassionato cultore della città e dei suoi monumenti, intorno al 1890 disegnò la Chiesa di S. Maria della Sanità e riportò fedelmente la lapide che Viti vide spezzata e incompleta: si legge, quindi, nel 1634 la data di fondazione. Nell'epigrafia latina, una linea soprascritta indica una contrazione per sospensione: di una parola vengono riportate solo le prime e ultime lettere. Nella lapide a "IOES" è sovrapposta una linea: se interpreto correttamente, sciogliendo la contrazione si avrebbe "IOHANNES". Il nostro fundator ac patronus sarebbe allora Giovan Vincenzo Viti (il commediografo isernino del quale conosciamo i titoli di tre lavori pubblicati a Napoli negli anni tra il 1620 e il 1631, indicato da Pasquale Albino nella sua Biblioteca molisana, 1865). Siamo, in ogni caso, trecento anni dopo la presunta data di fondazione indicata, seppure per sforzo di deduzione, da Angelo Viti, ed in coerenza con il titolo mariano di Signora della Sanità che proprio in quegli anni si diffonde contra pestem.
Un ultima nota di colore: nel 1799, allorché i Francesi del generale Duhesme espugnano Isernia e si abbandonano ad atti di rapina e devastazione (soprattutto verso gli edifici di culto), anche la chiesa della Sanità subisce saccheggio di quel po' di arredo che doveva contenere. Negli obituari parrocchiali del tempo si trova che in quelle giornate di guerra muore anche un «Franciscus de Pasquo de Agnone», di anni 65, «eremita della cappella de S. Maria de la Sanità».
Cappella S. Spirito (S. Giuliano?)
Ma non possiamo ancora dire di aver esaurito l'argomento: dobbiamo far riferimento ad altra chiesa sotto il titolo di Santo Spirito, ritratta in un disegno del 1891 da Cesare de Leonardis ed epigrafata come «Cappella diruta di S. Spirito, da cui la contrada S. Spirito o Pietralata». Che sia questo l'oratorium vel ecclesia de novo constructum del vescovo Matteo?
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| La Cappella di S. Spirito (1891). Per De Leonardis è da questa chiesa che la contrada prende il nome |
Seguendo Angelo Viti (a p. 222 del suo Note di diplomatica ecclesiastica cit.) la cappella di S. Spirito «esisteva fino a pochi anni addietro» - scrive nel 1971 - «lungo il vecchio diverticolo denominato S. Leucio [...] Era una graziosa costruzione absidata posta accanto alla cappella funeraria Jadopi. Anni fa era stato già rimosso da ignoti l'ornamento frontale consistente in un agile protiro goticheggiante; tra le due colonnine litee risultava una lunetta con affresco».
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| Cappella di S. Spirito (S. Giuliano?). Manca la lunetta con affresco |
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| Cappella Jadopi |
La descrizione data è perfettamente coerente con il disegno del notaio de Leonardis: protiro, lunetta, tutto combacia. Resta da capire la collocazione: Viti la dà accanto alla Cappella della famiglia Jadopi, che era posta lungo l'attuale Corso Risorgimento all'altezza dell'incrocio con via Formichelli (dov'è il bar Risorgimento, per capirci) e che fu demolita il 9 marzo 1965 proprio perché di ostacolo alla realizzazione dell'arteria cittadina (sporgeva troppo sulla sede stradale, pare). In alcune fotografie dell'inizio degli anni '50 reperite in rete, a margine di un sentiero di campagna che diventerà poi la lingua d'asfalto di Corso Risorgimento, si notano, uniche costruzioni, la cappella Jadopi e, più defilato, un altro corpo di fabbrica, più basso, privo di copertura: la nostra cappella di S. Spirito.

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| Notare i due corpi di fabbrica in fondo, Cappelle Jadopi e S. Spirito (S. Giuliano?) |
Resta solo da capire una cosa: protiro, navata unica e abside (come ci dice Viti) sono pienamente compatibili con un manufatto del XIII secolo: che sia questa la chiesa sorta sulla vinea del giudice Benvenuti? Quella che Vetromile indica in appresso, tra le rovine del monastero di S. Spirito?
L'ipotesi è suggestiva, ma siamo molto lontani dal sito di impianto del cenobio celestiniano. I monasteri fondati da Pietro dal Morrone inglobano al loro interno la chiesa: è difficile pensare che S. Spirito di Isernia l'avesse a distanza. Più plausibile che la cappella, pur sotto lo stesso titolo, sia chiesa autonoma rispetto al complesso celestiniano di S. Spirito.
Azzardo un'ipotesi che vale come spunto per prossime ricerche: pur confidando in de Leonardis, non ho trovato in nessun'altra fonte riferimenti ad una cappella sotto il titolo di S. Spirito: le Rationes decimarum per l'anno 1309 indicano Santo Spirito solo con riferimento al monastero (certamente, la nostra cappella potrebbe essere successiva e in tal caso non comparire). Tuttavia, nel Corpus Incriptiones Latinae (vol. IX; p. 255, n. 2751), Mommsen (a Isernia nel 1846) localizza un'iscrizione in «in ruderibus ecclesiae S. Iuliani a Spirito»; la medesima lapide è da padre Garrucci (p. 171 della sua Storia di Isernia, 1848) «riveduta a S. Spirito nel tenere del mio amico Sig. D. Michele La Liccia».
Abbiamo tutti i dati: confortato da Garrucci, interpreto lo Spirito di Mommsen come riferito alla località S. Spirito; ricordo che S. Giuliano è una di quelle antiche chiese isernine riportate dalle Rationes ma che non sappiamo collocare dentro o fuori la città. Ora, per quanto col toponimo S. Spirito allora si indicava un'area senz'altro più vasta di quella attuale, credo difficile che in quel suburbio, tra il 1846 e il 1891, coesistessero così tante chiese dirute.
Concludo, si licet: potrebbe la chiesa chiamata da de Leonardis S. Spirito essere la diruta ecclesia S. Iuliani, in S. Spirito, di cui scrive Mommsen?
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| C.I.L., n. 2751. Aeserniae in ruderibus ecclesie S. Iuliani |

















