lunedì 31 maggio 2010

Antologia della Reazione, parte III. Pettorano, Ponte delle Ferraine, 17 ottobre 1860

Jadopi, da Napoli, tiene alta l’attenzione su Isernia. Non è comunque il suo intervento ad essere determinante: anche senza il suo interessamento, i giochi sono fatti, e decisi altrove. La città, in mano ai Regi, è d’inciampo alla discesa dell’esercito sabaudo di Cialdini (e Vittorio Emanuele, of course) verso Teano e Capua. Il Governo dittatoriale si muove e invia le Camicie rosse di. Francesco Nullo, bergamasco, con Garibaldi dai tempi dei Cacciatori delle Alpi.

«Il maggiore della Guardia Nazionale di Boiano Girolamo Pallotta si presentava al quartiere generale di Garibaldi in Caserta e assicurava che a Boiano erano pronti ben 3000 volontarii, che occorreva la presenza e il comando di ufficiali garibaldini, che urgeva soffocare subito la reazione per non perdere il Molise, e forse anche gli Abbruzzi; e insistette tanto da far decidere Garibaldi a mandare due battaglioni comandati da suoi ufficiali. Costoro cui fu dato l’incarico furono il col. Francesco Nullo, il magg. Vincenzo Caldesi, il cap. Emilio Zasio, il luogotenente Alberto Mario e dodici guide a cavallo comandate dal tenente Candiani. (...) Gli ufficiali e le guide di Garibaldi partirono da Caserta il 13; il 14 giunsero a Maddaloni, dove risiedevano i due battaglioni del Matese e di Sicilia a cui fu dato l’ordine di marciare alla volta di Boiano con le guide. Gli ufficiali giunsero a Campobasso il 15 ottobre e vi pernottarono.»
Pietro Valente, Il 1860 a Isernia, Pettoranello e Carpinone - Notizie storiche, inedito. Copia manoscritta da Erminia Testa nel 1932 (Archivio Venditti).

Il 16 ottobre, Nullo

«Uscì da Campobasso con tre battaglioni detti dell'Etna, della Maiella, e del Gran Sasso, un migliaio di vagabondi d'ogni paese; e s'afforzò con una radunata di camorristi d'un Girolamo Pallotta da Boiano; gli uni e gli altri buoni a rapinare»
Giacinto de’ Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Volume II, Trieste 1868, p. 285

I camorristi sono i volontari molisani e matesini (pochi, per la verità) mobilitati da Girolamo Pallotta, pro-dittatore di Bojano e la Compagnia beneventana di De Marco. Nullo conosce il numero dei Regi presenti ad Isernia; sottostima, forse, la forza dei cafoni che s’accompagna all’esercito regolare duosiciliano. Prudenza imporrebbe di attendere Cialdini, per entrare insieme in Isernia. Malgrado gli ordini formulati direttamente da Garibaldi, Nullo ha fretta.

Eppure, nella Colonna Nullo si conosceva di che pasta fosse il nemico che si andava a fronteggiare:

«…qualcuno aveva messo in giro una voce perlomeno buffa: che qualche giorno prima, a Isernia più di mille garibaldini ci avevano rimesso la pelle, e ora le loro teste mozzate, col berrettuccio rosso, servivano d’ornamento alle antiche mura della città. »
Carlo Alianello, La conquista del Sud, Milano 1972, p. 183.

Così Domizio Tagliaferri, bojanese, camicia rossa, intruppato nella Colonna parla dei fatti del 17 ottobre:

«A Boiano la nostra colonna era costituita da circa seicento uomini, con una fanfara di trentadue persone di Apice, e di altri vicini paesi. Poi fu rinforzata da circa quattrocento altri del Battaglione Campagnano, di dugento di Bentivenga, oltre un forte numero di Campobassani e provinciali. Garibaldi, tra le altre istruzioni fornite al colonnello Nullo, aveva data quella di far sosta a Boiano, e di non muovere verso Isernia, prima del 20 ottobre, affinchè il nemico si fosse trovato bloccato fra noi ed il corpo d'esercito del Generale Cialdini, marciando per la strada del Macerone. Se nonchè Nullo, improvvisamente, verso le 10 antimeridiane ci comandò di avvicinarci ad Isernia, in fretta, senza che avessimo avuto l'agio di rifocillare lo stomaco, digiuno dal giorno precedente.
Nullo derogò agli ordini ricevuti, e ci espose a quella tremenda carneficina, che la storia stìgmatizza con parole di fuoco, e da cui pochi soltanto, ed a mala pena, scampammo.
Dopo tre ore, di penoso cammino, giungemmo presso Pettoranello di Molise sulla via, che congiunge questo paesuccio alla strada nazionale dei Pentri. Quivi stanchi ci sdraiammo per terra. Alberto Mario proseguì verso Isernia. Nullo e il suo Stato maggiore penetrarono a Pettoranello. »
Domizio Tagliaferri, La spedizione di Isernia, articolo pubblicato su “La Lega del Bene”, n. 28, del giugno 1890 (Copia fotostatica del manoscritto è presso l’Archivio della Biblioteca Michele Romano).

Tra gli ufficiali garibaldini c'è Alberto Mario,l’autore de “La Camicia Rossa” (caposaldo della memorialistica garibaldina, accanto agli scritti di Cecchi e Abba).

«A Pettorano apresi, solcata dalla consolare, una gola ripidissima e alpestre di ben tredici miglia, convergente sino a Castelpetroso e quasi parallela sino a Pettorano. Poi essa spandesi in dolce vallata ove giace Isernia che si vede e si domina da Pettorano. Nullo affidò un mezzo battaglione al capitano Zasio, incaricandolo di piantarsi su Carpinone, arduo monte di prospetto a Pettorano. Collocò il maggiore all'osteria con sessanta uomini di riserva; e a me ordinò di munire coi seicento rimanenti il colle di Pettorano che protende una delle sue pendici a guisa di cuneo orrizontale verso Isernia. Ciò fatto, spiegai in catena una mezza compagnia a traverso la gola per mantenere le comunicazioni fra le due schiere.»
Alberto Mario, La Camicia Rossa, edizione digitale, p. 79.

«Così A. Mario nella “Camicia Rossa”. Però Mario ignorava che Carpinone trovasi un bel po’ distante da Pettoranello e che i colli su cui si schierò Zasio non sono affatto di confine tra i territori dei due comuni, che nel punto più breve tra loro trovasi a circa un chilometro distante in linea retta. Il cap. Zasio schierò i suoi sui colli Montano, Cacchito, Cesafatica, e forse anche ne mandò su Sierra d’Ambla che ergesi più su della Taverna, nella quale fu lasciato Caldesi, con 60 uomini di riserva. Mario fece inoltre occupare le pendici del colle ove è situato Pettoranello, pendici che digradano verso il piano, e spiegò mezza compagnia alla base del comune, di fronte alle posizioni occupate da Zasio. Le truppe furono affidate agli ufficiali dei battaglioni, e gli ufficiali di Garibaldi entrarono in Pettoranello, ove furono ospitati dalla famiglia Santoro che li rifocillò.»
Pietro Valente, Il 1860 a Isernia, Pettoranello e Carpinone - Notizie storiche, inedito. Copia manoscritta da Erminia Testa nel 1932 (Archivio Venditti).

Nullo lascia quindi le linee e ripiega su Pettoranello, all'assalto del tavolo da pranzo, in casa dei Santoro. La truppa attende sotto il sole, non senza rilevare l'assenza del colonnello e del suo Stato Maggiore. Tagliaferri appare quantomai critico sulla conduzione di Nullo:

«Verso le 2 pomeridiane, mentre ognuno si cullava in un sospirato riposo, gran numero di gente bene armata si mostrò sulle vicine alture di Castelpetroso, e fra le rocce di Pettorano.
Datosi l'allarme, io e il capitano Pietro Rampone con qualche altro corremmo al paese per avvertire il colonnello Nullo. Lo trovammo seduto al pianoforte suonando, e dopo avere ascoltato da noi, che il nemico ci era sulle spalle, rispose, in tuono burbanzoso - Sono io, che comando. Tornate ai vostri posti -. Ci guardammo stupefatti, e tornammo donde eravamo partiti, annunziando la risposta di Nullo.»
Domizio Tagliaferri, La spedizione di Isernia, giugno 1890.

I Regi avanzano lungo la Consolare. Una forza composita, di circa tremila uomini, costituita da un battaglione di fanteria, gendarmi, un mezzo squadrone di cavalleria e, disposti a ferro di cavallo, i cafoni in numero imprecisato.
Mario e tra quelli che dànno avvio allo scontro: con i suoi, carica l’avanguardia borbonica.

«Per animare i nostri con una prova segnalata di valore, Nullo mi fece raccogliere le guide e i soldati d'ordinanza. Eravamo diciotto. Indi scendemmo da Pettorano; toccata l'osteria, il maggiore e Mingon si aggiunsero al drappello. Di là al galoppo all'incontro dell'avanguardia borbonica sulla consolare. Quei di Carpinone,»

il “mezzo battaglione” di Zasio e i volontari di De Marco,

«testimoni del fatto, ci battevano le mani, e mandavano alte grida d'entusiasmo ripercosse dal contrapposto monte. Spintici in prossimità dei regi, li caricammo a briglia sciolta e li mettemmo in volta disordinati.
— Indietro, indietro! I cafoni al monte! urlarono di repente i nostri di Carpinone. Noi li udimmo, ma nondimeno proseguimmo la carica.»
Alberto Mario, La Camicia Rossa, edizione digitale, p. 79.

Compaiono, inaspettati, i cafoni, gli irregolari armati di moschetto che attaccano di lato i garibaldini, con tecnica di guerriglia:

«E per verità una vivissima e inaspettata moschetteria ci colse di fianco dalla pendice avanzata di Pettorano che io avevo guernita di duecento uomini. Nullo non sapeva persuadersi come quella importante posizione fosse stata presa senza lotta, e temendo di perdere Pettorano divisò di rifare il cammino sino alla borgata. Si accese pertanto un combattimento strano fra noi cavalieri e i cafoni che dietro agli alberi ci bersagliavano diabolicamente a pochi passi.»
Alberto Mario, La Camicia Rossa, edizione digitale, p. 79.

«Il nemico, che ci era abbastanza da presso die' principio alle fucilate. Fummo tutti, come un sol uomo, all'impiedi. Corremmo verso i cafoni e li respingemmo, quantunque si trovassero garentiti dalle nostre palle, dietro macigni di ogni dimensione, e grossi alberi. Intanto uno scalpitio di cavalli mi fece volgere, e vidi Nullo e lo Stato Maggiore al trotto, alla volta d'Isernia. Ci gridò: - avanti ragazzi! E noi andammo oltre. Giunti sul ponte senza pezzi, che trovasi dopo la prima discesa tra Pettorano ed Isernia, le fucilate al nostro indirizzo incominciarono più incalzanti di prima. Fu allora che Nullo col suo Stato Maggiore, dopo di averci ordinato di andare avanti, ed io, che gli era vicinissimo, lo sentii precisamente dire - Non vi perdete d'animo, vi recherò subito rinforzi - rifacendo la via già percorsa, lanciò al gran galoppo il suo cavallo verso Boiano, scappando ch'era un piacere! Non vedemmo più nè il Nullo, nè il De Marco, nè arrivarono i promessi rinforzi!»
Domizio Tagliaferri, La spedizione di Isernia, giugno 1890.

Gli scontri continuano, intermittenti, fino a sera. I garibaldini sono in rotta. Nullo ripara a Bojano. I Regi conquistano Pettorano.

«Salendo con crescente sospetto, in prossimità delle prime case di Pettorano arrestai un contadino che discendeva, e impugnata la rivoltella gli domandai:
- Vieni da Pettorano?
- Sissignore.
- Vi sono gli uffiziali garibaldini, quei della camicia rossa?
- No.
- Come no? Dimmi il vero o ti buco la testa con due palle.
- Signore! ci sono i gendarmi e i soldati di re Francesco che mangiano e bevono in allegrezza.
- Ma gli uffiziali e la truppa garibaldina?
- Circondati e vinti dai soldati e dai paesani, un'ora innanzi sera i cavalieri tentarono ritirarsi per laconsolare, e i fanti per i monti sulla direzione di Boiano.
Sbalordito da questo annunzio fulmineo, stetti alquanto sospeso e mi lampeggiarono alla mente inriprova gli ordini indarno aspettati, i colpi di moschetto di Pettorano, i carri di provvigione e ildrappello tagliati fuori, il silenzio, i feriti senza soccorso, l'osteria abbandonata. Poscia ripigliai:
- I cafoni, dove si diressero?
- Si accamparono sulle alture che dominano la consolare da qui a Castelpetroso.
- Sono in gran numero?
- Non saprei quanti con precisione, ma certo da due a tremila.
- Tu m'inganni ed io t'ucciderò.
Dissi e montai il cane della rivoltella; indi soggiunsi:
- Precedimi a Pettorano.
Mossi il cavallo; e il contadino a me:
- Arrestatevi, signore; v'assicuro che là trovate i gendarmi, e v'incamminate alla morte. Se volessi ingannarvi, vi direi: - andiamo.
- Ebbene, va a verificare di nuovo, io t'attenderò ai piedi della salita; giurami sull'ostia sacra che ritorneraie mi riferirai la verità; io ti regalerò due piastre.
- Giuro e vado per accontentarvi; ma i gendarmi ci sono come voi siete qui.»
Alberto Mario, La Camicia Rossa, edizione digitale, p. 81.

«Sopraggiunse la notte, ch'era freddissima, e verso la mezzanotte scorgemmo un fuoco ad un paio di chilometri di lontananza. Credemmo lo avessero acceso gli altri garibaldini, che erano con Nullo, e andarono alcuni esploratori per provvederci di munizioni e cibi, e per affrettare i promessi rinforzi! All'alba tornarono gli esploratori, e ci narrarono che quel fuoco era stato acceso dai regii, che avevano occupato Pettorano, dopo che la gran parte dei nostri era stata massacrata. Quale fu il nostro sbalordimento, il nostro dolore, la penna non sa dirlo! Dopo breve consiglio si decise di aprirci una strada verso Boiano. Giunti appena sulla strada consolare, dove la sera precedente avemmo la prima scarica del nemico, ci trovammo circondati da stuoli di gendarmeria borbonica, dalla fanteria di linea, e dai cafoni. Questi ultimi erano armati di scure, uncini, ed altre armi di forma strana, il cui nome non ho mai conosciuto. Una grandinata di fucilate ci assaliva da ogni parte. Le nostre munizioni erano completamente finite. Il numero dei nostri diminuiva, mano mano, sopraffatti dai nemici. Quanti in quel funesto giorno furono scannati, massacrati dai cafoni! quanti altri spogliati, derubati dai regii! Fu un'eccidio, fu una vera ecatombe!»
Domizio Tagliaferri, La spedizione di Isernia, giugno 1890

«(...) nella fuga, molti caddero sotto il piombo dei cafoni reazionarii di Carpinone, tra cui Mascieri Nicola fu Benedetto, [detto] Muccoluso, morto in carcere durante il processo e Jacopo Armenti di Castelpetroso, appostati dietro alberi e macigni. Così al Ponte delle Ferraine, da quei di Castelpetroso, furono uccisi i cavalli della carrozza dello Stato Maggiore; il cocchiere, l’unico che non fu denudato, il sottotenente Bettoni ferito, e altri che erano nella carrozza, Temistocle Mori, Silvio Lavagnoli e Mingon, l'ordinanza di Caldesi che seguivano a cavallo, di scorta, e fu predata una borsa con seimila ducati da tal Cifelli Nicola fu Generoso, che si vantò poi d’avere ammazzati due garibaldini con un sol colpo di fucile allora chiamato sfrattacampagna
Pietro Valente, Il 1860 a Isernia, Pettoranello e Carpinone - Notizie storiche, inedito. Copia manoscritta da Erminia Testa nel 1932 (Archivio Venditti).

Ecatombe, eccidio. La maledizione scagliata da Giuseppe Cesare Abba (e che ha trovato inveramento sotto altra forma che non sia la meteorologia) parla da sola:

«Pettorano, Carpinone, Isernia, meritereste che su voi non venisse più né pioggia né rugiada, fin che durerà la memoria dei nostri, ingannati e messi in caccia e uccisi pei vostri campi e pei vostri boschi!
Tornano gli avanzi della colonna di Nullo; non si regge ai loro racconti; non sanno dire che morti, morti, morti! Par loro d'avere ancora intorno l'orgia di villani, di soldati, di frati che uccidevano al grido di Viva Francesco secondo e Viva Maria.»
Giuseppe Cesare Abba, Da Quarto al Volturno, Bologna 1880.


2 commenti:

  1. la liberazione dai borboni ci è costato il dominio dei francesi,
    quindi qual'è la differenza, solo di dominio???

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  2. Sto ricostruendo il percorso dalla legione del matese ,se avete notizie più dettagliate ,dove si è svolto il massacro della legione e i luoghi fatemi sapere.
    Vorrei anche sapere dov'è situato il ponte del massacro della fanfara garibaldina, forse si trova tra Carpinone e Pettoranello?non sono siuro.Se il ponte è quello che ho trovato si trova tra spine e rovi.Cercando tra i paesi confinanti non o trovato nussuna lapide che ricorda la battaglia che si sarebbe svolta nei luoghi visitati da me: Pettoranello,Carpinone,CastelPetroso,Isernia.
    Come mai non ci sono tracce monumenti o qualcosa che ricordi la battaglia?

    valentinoms@alice.it

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