giovedì 27 maggio 2010

Antologia della Reazione, parte II. Isernia, 4 e 5 ottobre 1860

La caccia al liberale, al grido di “viva Francesco e viva Maria”, viene praticata con profitto fino al 4 ottobre, quando

«(...) alle ore diciannove giunse una colonna di circa mille garibaldini a piedi e a cavallo, e fu attaccato fuoco circa due miglia fuori l'abitato (...) il fuoco fu proseguito sino alle ore 23 circa dentro il paese, allorché finita la munizione si dovette retrocedere ed essere in Venafro per avere forza maggiore dalle reali truppe.»
Missiva del Capo urbano Vincenzo Di Ciurcio dell'11 ottobre 1860, integralmente riportata in Anonimo [ma Stefano Jadopi], Risposte a V.M. Briamonte e F. Marulli sulla Reazione d'Isernia, Torino, 1862, p. 49.

I garibaldini sono gli 800 appiedati e i 60 cavalieri della Guardia Nazionale, provenienti da Campobasso e guidati dal Governatore di Molise, Nicola De Luca. A notte, entrano in città per ristabilire l’ordine.

«Napoli, 5 ottobre 1860, ore 10 pom.
Il Segretario generale del Governo di Molise al signor dittatore Giuseppe Garibaldi.

Vittoria completa! vittoria! dopo tre ore di fuoco siamo entrati in Isernia alle ore 23: dei nostri tre soli leggermente feriti, dei reazionari e dei gendarmiche con essi si battevano non ancora sappiamo il numero dei morti e dei feriti; però non deve essere insignificante. ho fatto numerosi arresti, tra quali i due capi del Governo provvisorio, il vescovo e il penitenziere, De Lellis, ed altri; è stata una magnifica retata; tutti niuno escluso si sono slanciati all'assalto come tanti leoni; evviva Molise! (...) »
Telegramma di Nicola De Luca al dittatore Giuseppe Garibaldi, integralmente riportato in Anonimo [ma Stefano Jadopi], Risposte a V.M. Briamonte e F. Marulli sulla Reazione d'Isernia, Torino, 1862, p. 49.

Tra i volontari di Molise, ci sono gli albanesi di Luigi Demetrio Campofreda:


«Certifico io qui sottoscritto Capo dello Stato Maggiore che il Capitano dei volontari albanesi D. Luigi Campofreda in tutti i fatti d’arme nel distretto d’Isernia, e massime il giorno 4 ottobre, si distinse per zelo, per coraggio ed abnegazione, combattendo coi suoi alle prime file, come primo penetrò nella città, che si prese per assalto. Mi piace ancora attestare per onore del vero che il suddetto Sig. Campofreda ha mostrato in quella il maggior disinteresse e decisione possibile in sostegno della gloria e libertà d’Italia.»
Diploma rilasciato dal Capo di Stato Maggiore Ghirelli in Campobasso, 20 ottobre 1860.

Degli assaliti, molti riparano a sud, verso Venafro; altri mostrano il meglio di sé: don Antonino Melogli, tornato liberale, accoglie gli occupanti facendosi trovare

«…sul davanzale di sua casa col ritratto di Garibaldi ad una mano, e coll’altra dimenando un bianco pannolino.»
Anonimo [ma Stefano Jadopi], La Reazione avvenuta nel distretto d'Isernia dal 30 settembre al 20 ottobre 1860, Napoli 1861, p. 32

S’inizia la controreazione: De Luca impone una tassa di guerra e procede ad arresti tra i sollevati. Ne fa le spese pure Saladino, qui dipinto come un mansueto da Giacinto de’ Sivo:

«Trovato il vescovo in chiesa ginocchione avanti al Santissimo, non gli valse l'età, la fievolezza, il carattere, l'atto, il luogo, non la presenza di Gesù sacramentato; afferratolo, strascinaronlo pe' gradini, e se nol difendeva col corpo e con le lagrime il canonico Del Vecchio, l'ammazzavano. Tratto fuori, minaccianlo di fucilazione, gli comandano dir “Viva Garibaldi”: il misero vecchio tacente sospirava. Una donnicciola, al vedere dalla fmestra quello strazio, dà un grido pietoso; e in risposta una schioppettata la figliuoletta le ferisce, lei uccide.»

(...)

«Saccheggi simiglianti in altre case. In quella del ricevitore distrettuale Gennaro De Lellis, a lui stesso drizzano i moschetti al viso, e stette vivo per favor d'alcun Nazionale. Sendo il denaro della cassa in salvo, manomisero la roba, mobili, arnesi e dispense; una cappelletta disfecero, bucherarono una tela di S. Francesco, i calici sparirono. E il De Luca gavazzava , quasi l'unità italica raffermasse col subisso delle ricche case isernine. Dove non eran ricchi, rubavano a'poveri; a chi il vestito, a chi l'anello, la caldaia o il pane. n'empievano carrette, e via per Campobasso.
Peggio la notte. Uccisioni e libidini turbarno molte casucce. La notte del primo del mese i reazionarii, cieca plebe, colpiti, s’eran vendicati di tre nemici; saccheggiarono, non stuprarono, non percossero cose sante; gli uomini di chiesa anche nemici rispettarono. La gloria di straziare in chiesa un vescovo, e saccheggiare e bruttare un paese si conseguì da un governatore co’ poteri illimitati, venuto ad alzare il re galantuomo e la morale d'Italia.»
Giacinto de’ Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Volume II, Trieste 1868, p. 284

Ma Isernia è liberale per una sola notte. Il 5 ottobre, da Venafro, partono i Regi per riprendersi la città.

«Il dì seguente il governatore spedì varii drappelli a perlustrare le campagne e la via che mena a Venafro. Ritornati verso il mezzodì riferirono che una forte colonna di Borbonici era a tre miglia da Isernia. Erano un 500 soldati di fanteria con circa 50 cavalli, molti gendarmi e contadini armati, mentre altri contadini in armi coronavano i monti che fiancheggiano la strada da Isernia a Bojano. Il governatore convocò a consiglio tutti i capitani e venne deciso di ritirarsi, soprattutto perché si difettava di munizioni ed era perduta ogni speranza di aver soccorso dal Pateras, le cui promesse non s'erano verificate. Si scelse la via degli Abruzzi per rionero e Casteldisangro per la speranza di ricongiungersi alle forze di Pateras e per impedire che la reazione negli Abruzzi si propagasse.»
La Colonna De Luca, estratto dal Giornale ufficiale di Napoli, 3 novembre 1860, in Anonimo [ma Stefano Jadopi], Risposte a V.M. Briamonte e F. Marulli sulla Reazione d'Isernia, Torino, 1862, p. 54.

Come spiega bene De’ Sivo, la Colonna borbonica, salendo da Venafro, si scinde e procede a tenaglia: i cafoni – fuoriusciti isernini e del distretto – vanno a bloccare l’uscita a nord; i regolari risalgono per la Consolare. I garibaldini che residuano in città – il grosso, con De Luca, è già in fuga verso l’Abruzzo – rimangono inermi. Segue massacro di camicie rosse, e l’avvio della contro-controreazione, con nuovi saccheggi e rapine:


«Il maggiore Sardi [altrove: Gardi] comandante i regi spiccò i volontarii dalla parte di Fornelli e Sessano, per isboccare alle Grazie sull'alto della città, a serrare 1' uscita del paese; egli avanzando sulla via consolare, giunto alla contrada Forni a un miglio dalle mura, trasse una cannonata, quasi ad avvertire il nemico. Poi entrò per la via a dritta, i soldati percotendo quanti vedevano rossi, che sbalorditi non fecero difesa. Fuggivan su, ma vista la uscita presa alle Grazie, rinculavan dentro; vagavano per le strade, ed eran colti; ad ogni sbocco percussori, e le case serrate; sforzandole venivan sugli scalini stramazzati; altri per le tetta inerpicandosi tombolava. Chi potea toccar la via di Campobasso credevasi salvo; ma scontrava gendarmi e villani, che fuggiti la vigilia, al rumore de' colpi tornavano vendicatori spietati. Queii che scortavano i carcerati, investiti da questi stessi, si sbandarono per le macchie; e in vario modo ebbero morte o prigionia. Fresco il peccato, prontissima la punizione. Certi garibaldini sorpresi nel palazzotto Jadopi, credendo reazione plebea, si difesero; onde i soldati furiosi, posto fuoco all' edifizio, il più di quelli passarono per l'arme; e i contadini seguitando inviperiti contro l'odiate mura, tra le fiamme e le ruine fecero il resto. Nella città sola fur morti da quaranta, molti feriti, e/o prigionieri ; il resto pe' campi perì o campò come il caso volle.»
Giacinto de’ Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Volume II, Trieste 1868, p. 285

L' incendio ed il saccheggio di casa Jadopi compito, altre case di liberali derubaronsi. Dirigente il cameriere del Vescovo segnava le vittime, e le case da aggredire e quali preservava, e Michele Sardi Maggiore di Guardia Reale ad incitar sempre più la plebe a tali assassini arringando da Casa Perpetua dichiarava « che Re Francesco dava per sei mesi di libertà al basso popolo di far quanto volesse» .
Anonimo [ma Stefano Jadopi], La Reazione avvenuta nel distretto d'Isernia dal 30 settembre al 20 ottobre 1860, Napoli 1861, p. 32

Viene ristabilito formalmente il Governo borbonico, ma le truppe di Sardi/Gardi ripiegano su Teano. Isernia rimane a sé stessa; il nuovo Sottintendente è un de Lellis, Vincenzo, che tuttavia, avveduto della fluidità della situazione nazionale, non si fa vedere in città e preferisce Venafro; il nuovo Sindaco – che parrebbe essere stato eletto contro la propria volontà – è Michelangelo Fiorda, addirittura un conosciuto avversario del cav. Gennaro, che così facendo può rarefare il suo coinvolgimento nei fatti della reazione, anche in vista del prossimo arrivo dei Piemontesi, impegnati nello Stato Pontificio, ma in discesa lungo l’Adriatico.

«Fiorda conosciuto liberale nel 1820, per 40 anni aveva avuto agio di studiare tutte le arti di casa de Lellis, che lo voleva Sindaco, e tra perché temesse compromettersi, e tra perché il governo dittatoriale vi ravvisasse il rappresentante d'Isernia reazionario, sene fuggì. Molti popolani però gli furono spediti dietro e così costretto per forza a tornare. Fu necessità al Fiorda per iscampar la vita divenir passivo nelle funzioni municipali»
Anonimo [ma Stefano Jadopi], La Reazione avvenuta nel distretto d'Isernia dal 30 settembre al 20 ottobre 1860, Napoli 1861, p. 40.

Nessun commento:

Posta un commento