Sarà stata l'attitudine dell'uomo di mondo (anzi, dei Due mondi), capace di cogliere il senso delle cose ad un primo sguardo; pure, questo Giuseppe G., nel suo breve, e non facile, transito, coglie di Isernia una verità ancora attuale. Cambiano i bipedi, non necessariamente tutti di colore nero; l'ignoranza si stempera forse con corsi europei di marketing territoriale e promozione turistica, ma la ricchezza inespressa di queste contrade sta ancora là, a svilire sotto l'ennesimo sconsiderato cattivo uso del territorio.
«Isernia, capitale dell'antico Sannio occidentale, potrebbesi intitolare, come Palermo, la Conca d'oro. Circondata dalle alte cime del Matese - ove tesoreggiano sorgenti abbondantissime ed inesauribili da una parte, fra cui dominano le cataratte del Volturno, dall'altra completando la corona altre delle alte cime apenniniche, ne fanno veramente un paese incantevole, ove il touriste, che fugge le aride ed infocate contrade, può trovare quanto brama di verdure, aure fresche e deliziose ed acque zampillanti e cristalline quanto quelle delle Alpi. Paesi a cui natura fu prodiga d'ogni suo benefizio, e che perciò attrassero il nero bipede che predica l'astinenza e si pasce di lussuria. Sì! il prete come il simoun isterilisce in quelle magnifiche contrade ogni fonte di progresso e di prosperità. Là, ove potrebbero sorgere dei Chicago e dei Manchester, sorgono invece delle città appena note sulle carte geografiche, come Isernia e Campobasso, con popolazioni robuste sì, ma annegate nella più crassa ignoranza.»
Il Simoùn è un vento africano. Giuseppe G., l'avrete capito, non è un G. qualsiasi. Il pezzo su Isernia è tratto da «I Mille», Torino, Tip. e lit. Camilla e Bertolero, 1874. (qui, l'edizione digitale).
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