martedì 17 maggio 2016

«Mamozio, chi era costui?»

A Isernia, le quattro statue togate sotto l’Arco di San Pietro sono tradizionalmente chiamate «mamozie» (o, come variante, «mamuozie»). Per derivazione, «mamozie» è (o era, prima della koiné) epiteto col quale indicare un fantoccio, un pupazzone, quindi una persona che ne ricorda le fattezze (testa sproporzionata, sgraziata, incedere ciondolante da metronomo a fine corsa). Per ulteriore traslato, «mamozie» è il fesso, la persona lenta a comprendere, quello che altri lessici definiscono con l’accrescitivo dell’organo genitale maschile.


(da CRUDELE, Come ze rice a Sergnia, Isernia 2006)

Perché Mamozio? Nel Lessico Etimologico Abruzzese (LEA), Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1985, la voce viene riportata a «mammocce», adattamento fonetico dialettale della voce italiana «bamboccio», ma convince di più la derivazione puteolana, legata al rinvenimento di una statua:
«Nel 1704 a Pozzuoli, durante gli scavi per l'edificazione della chiesa di san Giuseppe, fu ritrovata una statua acefala attribuita al console romano Lolliano Mavorzio. Come d'uso all'epoca, il capo mancante fu reintegrato, ma da una testa sproporzionatamente piccola rispetto al corpo che conferiva alla statua un'aria imbambolata.Il nome Mavortio fu distorto dai puteolani in Mamozio, che ha assunto da allora il significato di persona stupida e sciocca.» (fonte: wikipedia; anche il resto dell’articolo è gustoso e si può leggere qui)
Questa versione convince di più anche per la comune sorte di statue acefale cui la crudele pietà popolare ha imposto nuova e sgraziata testa. A Pozzuoli come a Isernia. Nessuna specifica volontà iconoclasta: nelle statue, collo e polsi sono le parti più sottili e fragili e subiscono più facilmente l’ingiuria del tempo, rompendosi. Dei quattuorviri dell’Arco di San Pietro, tutti originariamente decollati, in tempi lontani hanno imposto una nuova testa – e una di esse, quella della figura muliebre del lato est, sarebbe di periodo medievale e non classico (ne parla Valente qui,  riferendo la nuova testa ad ignoto artista federiciano); uno, il togato lato nord, la nuova testa l’ha persa per una seconda volta, decapitato recidivo.  


(foto via web, di inizio secolo: il mamozio lato nord aveva ancora la sua testa)
  
Così pure a Ponza chiamano «mamozio» una statua romana rinvenuta nel 1700, la cui testa, decapitata nel 1809 da un soldato francese, ricollocata nel 1844, opera di uno scultore locale, andò persa per sempre: «In una via parallela alla strada litoranea, si conserva, murata  su di un moderno piedistallo, una statua marmorea funeraria, acefala e priva di basamento, nota, dalla tradizione locale, con il nome di Mamozio.» (G. M. De Rossi, Ponza, Palmarola, Zannone, Roma 1993)
Isernia, Pozzuoli, Ponza. Tre fanno collegio. Se avessimo svolto un esperimentino di scienze alle scuole medie e dovessimo concludere, a questo punto scriveremmo l’equazione «statua che fu acefala, con nuova testa = mamozio».

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