Manoscritto inedito sulla chiesa vescovile di Isernia | anno 1843 |
del canonico Vincenzo Piccoli arciprete, 1° dignità del Capitolo di Isernia
a cura di Paquale Damiani;
prefazione di Mons. Claudio Palumbo;
postfazione di Gabriele Venditti, Isernia,
Terzo Millennio, 2016.
Postfazione
Il breve saggio del canonico Piccoli qui riprodotto – non si confonda la quantità per la qualità – è custodito in originale nella sezione Archivio della Biblioteca comunale “Michele Romano”.
Altre volte, in occasione di mostre documentarie o altre pubblicazioni, ho avuto modo di richiamare l’attenzione su un diverso e più nutrito archivio presente presso la biblioteca, l’Archivio storico comunale, sezione separata dell’Archivio comunale istituita ai sensi dell’art. 30 del D.P.R. 30 settembre 1963 e costituita dai documenti prodotti dall’Amministrazione comunale nel corso del tempo e qui versati per essere conservati e utilizzati a scopo scientifico e didattico. Ne ho parlato in termini di miniera minimamente esplorata e sfruttata, da cui poter estrarre tesori sotto forma di testimonianze storiche.
Probabilmente, è mancata finora l’occasione per rimarcare l’importanza del diverso fondo archivistico – l’Archivio della biblioteca, appunto – che raccoglie, invece, documenti di diversa provenienza, che hanno come autore non l’Amministrazione comunale, ma privati, o altri enti, e che sono stati raccolti presso la biblioteca per il loro indiscusso valore in termini di testimonianza riguardo la storia politica, sociale, economica, artistica e culturale della Città di Isernia. L’Archivio della biblioteca si compone certamente di una minore mole di documenti rispetto all’Archivio storico comunale, ma – anche qui, quantità non vale per qualità – più importanti. Per dire, il privilegio di Carlo V che riconosce Ysernia città demaniale e libera da vincoli feudali, dato a Worms nel 1521 è conservato (nell’edizione a stampa del 1558) presso l’Archivio della biblioteca.
La Biblioteca comunale “Michele Romano” ha svolto, infatti, dalla sua costituzione – che risale agli anni ’70 del XIX secolo – accanto alla ordinaria funzione di biblioteca di pubblica lettura, quella, probabilmente più qualificante, di biblioteca di conservazione, con ovvio riferimento al materiale bibliografico e documentario riferito alla storia locale. Per questo, nel corso degli anni, la biblioteca si è consolidata sede di elezione per la conservazione e la cura della memoria storica della comunità.
Ma conservare non significa tenere serrati gli armadi. Al contrario: se si custodisce e si preserva dalle offese degli anni il documento nella sua materialità, se ne deve invece diffondere quanto più possibile il contenuto, la dichiarazione che il documento incorpora. Conservare, infatti, non è un fine, ma un mezzo: conserviamo per tramandare conoscenza e consapevolezza di sé. Se il fine ultimo della conservazione è consolidare e far crescere la memoria storica di una comunità – se è vero, come è vero, che «La memoria non è ciò che ricordiamo, ma ciò che ci ricorda» (Octavio Paz) – il bibliotecario conservatore deve mostrare i documenti che ha in custodia, farli uscire da buste e faldoni che li nascondono al mondo, perché se non c’è niente di più inutile di un libro che non venga letto, non diversa è la sorte di carte d’archivio che attendano invano occhi che se ne interessino.
(Gabriele Venditti)
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