Ieri, sfogliando gli aggiornamenti di Facebook, ho visto il post di Marazzi che annunciava la morte di Natalino Paone. Strano come arrivino certe notizie, tra una pubblicità e una stringa sgrammaticata sui vaccini.
Il professore mi aveva preso a benvolere, ci sentivamo spesso (almeno per quelli che sono i miei ritmi), prima in telefonate al numero della biblioteca, in mi chiedeva di questo o quel documento, necessario ai suoi studi; poi gli squilli arrivavano al mio numero privato, e le lunghe, lunghissime telefonate che mi dedicava, preannunciate mai da un "pronto?", ma da un "Natalino!", avevano anche altri argomenti: i suoi racconti della guerra, Monte Marrone e il C.I.L., le sue memorie di ragazzo esule da Scapoli fino in Romagna. Ma anche l'attualità di questa Isernia senza futuro, senza speranze, esaurita la spinta propulsiva dell'istituzione della provincia: nella sua ultima telefonata, credo all'inizio di questo aprile pandemico (ero in terrazza, c'era già un sole caldo), voleva inviarmi una sua idea per il rilancio turistico della città (si fece dare la mia email, ma poi non arrivò nulla). Parlò dell'area archeologica della Cattedrale, della necessità di avere un ingresso autonomo, che partisse dalla rampa e corresse sotto il giardino del vescovo; "Scavate!" (mi identificava con il Comune, riconoscendomi un potere di impulso, di iniziativa, mai purtroppo esercitato), "Scavate sotto la piazza! C'è un'intera necropoli!". Quando chiusi, a fatica, la conversazione (era difficile porre un freno alla sua urgenza di comunicare, di dire, di raccontare), ne invidiai l'energia, la voglia di fare, di proporre, tanto caratteristiche della gioventù.
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