Stefano Jadopi, nel 1858, descrisse gli abitanti d'Isernia come miti e ossequiosi del potere; appena due anni dopo, i miti e i rispettosi gli uccisero un figlio e gli appiccarono fuoco al palazzo. Tutto imputabile all'ubbriachezza?
(I brani che seguono sono tratti dall'articolo monografico "Isernia" che Jadopi scrisse per la rivista napoletana Il Regno delle Due Sicilie descritto e illustrato; monografia recentemente ripubblicata a cura di Fernando Cefalogli).
«(...) Qualità fisiche degli abitanti. Valida e robusta può dirsi la costituzione degl’ iserniani, coloriti nel vivo nel viso in grazia del clima e sua esposizione. Le donne gaie ed avvenenti, e non mancano delle
palesi (contadine) che han tipo di greca fisonomia. Entrambi i sessi si trovano disposti a qualunque forza più o meno risentita, e specialmente gli uomini, che dai primi anni si esercitano al lavoro, a mestiere di facchino acquistano una pronunziata muscolatura. In generale la capellatura è la castagna chiara-oscura, scarsa la bionda, e non sono affetti da malsanie, o malattie dominanti, tranne quelle febbri che s’avverano d’autunno, causate più dalle vicende atmosferiche di caldo, e freddo, e dalle acque interrotte di tale stagione, e per lo più in decorsi al tipo d’intermittenti, e si curano coi soliti mezzi che la medicina somministra.
Qualità morali - Rispettosi verso i vecchi, le autorità Civili ed Ecclesistiche, e de’ propri genitori coi quali convivono fino all’età abile, ma appena coniugati abbandonano il tetto paterno, e questa specie di repentina emancipazione è la causa del veder attiepidita la primitiva educazione; e tanto dimostra l’urbanità più nei vecchi, che nei giovani. Del resto ospitale per quanto le circostanze lo permettono, cedevoli ai bisogni del forastiero, senza mostrare sgarbatezza nel prestare il proprio ufizio: affaccendati al lavoro, operosissimi, e perciò dovrebbero ritenersi esclusi patimenti morali, trovandosi lontani dall’ozio, ma l’ubbriachezza che spesso invade la testa popolare gl’incita alla rissa, omicidio, furto, e questo specialmente all’epoca del ricolto de prodotti, e per vendette non mancano alle volte ricorrere alla devastazione immatura de’ medesimi, alla distruzione delle piante fruttifere ed all’incendio dei ricoveri campestri, come lo stato di un decennio ne porge chiaro argomento.»
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